È la bestia nera della stagione. Nessuno lo vuole. I cinefestival lgbt lo rifiutano in massa. Nell’ambiente queer genera imbarazzi. Eppure il cortometraggio "Ultracorpo" di Michele Pastrello, mezz’oretta di insinuante psyco-horror ad alto voltaggio, tra Siegel e Lynch, sul tema dell’omofobia dal punto di vista di un idraulico psichicamente instabile che uccide un cliente gay (Felice C. Ferrara, bravissimo) ha attirato l’attenzione della critica (Giona A. Nazzaro su "Rumore" ne parla molto bene) ed è il classico film da dibattito: effettivamente è di buona fattura, esteticamente notevole, con una superba fotografia di Mirco Sgarzi. Ma il messaggio è molto ambiguo, il compiacimento voyeurista innegabile e la rappresentazione dell’omosessuale vittima del killer disturbato (Diego Pagotto già visto in "L’uomo che verrà", assai valido) intrisa di stereotipi. Queerblog lo definisce ‘il cortometraggio contro i gay’.
L’autore Michele Pastrello, videomaker scorzetino già vincitore del Pesar Horror Film Fest e del To Horror, ci ha sottoposto l’opera. Lo abbiamo intervistato.
Com’è nata l’idea di realizzare "Ultracorpo"?A Padova ci sono stati un paio di episodi di omofobia anche se non violenti come in altri casi. Avevo anche letto un articolo tempo fa su un ragazzo che aveva pestato a sangue un omosessuale e tra le motivazioni c’era il fatto che provava schifo nei confronti di quella persona. Mi aveva colpito: mi chiedevo perché. Mi è rimasto impresso questo episodio. Non mi occupo di tematiche gay e sono etero. Ho anche partecipato a un Gay Pride eppure, onestamente, provo repulsione al pensiero di un rapporto sessuale con un altro uomo.
Nel tuo film il punto di vista è quello dell’omofobo, che cosa c’è di personale?Non sono omofobo ma ho attinto a questa mia repulsione per realizzare l’aspetto esplicitamente omofobico del film. Mi spiego meglio. Volevo dar corpo a una sorta di pre-paura che può far scoprire cose di te che non vuoi ammettere a te stesso perché porterebbero a conseguenze imprevedibili.
Non pensi che il killer possa essere un gay represso visto che non riesce più ad avere rapporti con la prostituta?Non mi sono soffermato sul fatto che Umberto sia un gay represso: non vuole permettere di conoscersi meglio, questo pone una barriera per evitare la possibilità che accada. "Ultracorpo" parla della difficoltà di accettare la diversità in genere.
"Ultracorpo" ha vari pregi innegabili: è di buona fattura cinematografica, molto curato tecnicamente – in particolare la fotografia – ha ritmo e tensione, riesce a restituire un’atmosfera quasi lynchiana piuttosto intrigante. Ma non trovi che il personaggio gay sguazzi negli stereotipi? È inoltre connotato in maniera fortemente negativa: è un effemminato fragile di nervi, lamentoso, vittimista…Non ho uno sguardo sociologico ampio: non volevo raccontare un omosessuale tipico ma come Umberto vede l’omosessuale che ha di fronte, cioè proprio uno stereotipo alla base del pregiudizio. La frase sulla paura che apre il film è emblematica: "Chi ha paura non fa che sentir rumori". Ho soggettivizzato lo sguardo del protagonista.
Non pensi però che il messaggio del film sia fortemente ambiguo? Visto il tentativo di seduzione ‘ricattatoria’ del gay – come dire: se non ci stai non ti pago il lavoro – lo spettatore medio potrebbe pensare: "se l’è andata a cercare"?Non l’ho visto da quella prospettiva… Dopotutto è la visione dell’omofobo. Ho provato a entrare in quel cortocircuito: che cosa vedono quegli occhi? Ho cercato con "Ultracorpo" di realizzare qualcosa che andasse oltre.
Come mai nessun festival gay, secondo te, l’ha voluto proiettare?Non lo so, voglio solo pensare che ci fossero film migliori di "Ultracorpo". Gli altri miei lavori sono stati presentati quasi ovunque, questo no. L’ho mandato a quattro festival a tematica gay: Torino, Milano, Bologna e Palermo.
Non ritieni che ci sia un certo compiacimento nei tuoi corti soprattutto nel rappresentare la violenza, in particolare l’insistito stupro ai danni della protagonista femminile in "32"?Non l’ho percepito, girando il film. Secondo me ci stava bene ai fini della narrazione. La accetto come critica, comunque.
© Riproduzione Riservata