White Noise, recensione. Gli zombi postmoderni di Noah Baumbach aprono Venezia 79

Vita e morte ai tempi di una pandemia chiamata consumismo. Da Don DeLillo a Baumbach, Rumore Bianco ha inaugurato la 79esima Mostra del Cinema di Venezia.

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Talmente atteso da costringere la Biennale ad aspettare l’inverosimile e ad annunciare il film di apertura della 79esima Mostra del Cinema di Venezia alla vigilia del programma ufficiale, perché tutt’altro che certo di esserci. White Noise segna il ritorno del 52enne Noah Baumbach al Lido, 3 anni dopo la pioggia di nomination firmate Storia di un matrimonio. Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Don DeLillo, pubblicato nel lontano 1985, Rumore Bianco è il primo film Netflix (dal 30 dicembre in streaming) ad aprire Venezia, al termine di una lunga e complessa post-produzione che fino all’ultimo ha messo in dubbio la sua presenza.

Una cronaca dell’assurdo, quella diretta da Baumbach al fianco della compagna Greta Gerwig, con al centro del racconto una scombinata famiglia americana contemporanea chiamata ad affrontare i banali conflitti della vita quotidiana, confrontandosi con i misteri universali dell’amore, della morte e con la possibilità di essere felici in un mondo incerto.

Jack Gladney, interpretato dal solito gigantesco Adam Driver, è un rinomato professore universitario che insegna ‘nazismo avanzato’, ovvero un corso approfondito su Adolf Hitler. Una spiazzante Greta Gerwig è Babette Gladney, 4a moglie di Jack travolta da un male straniante. I due hanno avuto figli da relazioni precedenti, dando così forma ad una famiglia numerosa e assai poco tradizionale, “culla della disinformazione” in salsa americana.

Opera assai ambiziosa, White Noise oscilla continuamente tra up e down, abbracciando più generi. Drammatico, ironico, orrorifico, satirico, il film di Baumbach è un’apocalisse postmoderna che fa a pezzi la cultura popolare americana, puntando il dito contro la società consumistica, il capitalismo esploso nella 2a metà del secolo scorso, il mondo accademico, il bombardamento mediatico a cui siamo tutti noi quotidianamente sottoposti, il populismo spicciolo, le teorie cospirative, la disintegrazione della famiglia un tempo considerata ‘tradizionale’. Esilarante e spaventoso, lirico, grottesco e apocalittico, Rumore Bianco guarda agli anni ’80 specchiandosi sulla realtà contemporanea, dando spazio ad un’America folle, violenta, assurda, appena uscita da una quarantena pandemica che ha amplificato caos e divisioni.

Romanzo tutt’altro che semplice da adattare, White Noise in mano a David Lynch o David Cronenberg avrebbe potuto fare furore. Baumbach lo cavalca invece a fatica, con marcati rimandi al cinema dell’amico Wes Anderson (sono di Noah gli script di Le avventure acquatiche di Steve Zissou e Fantastic Mr. Fox ) e una verbosità a lungo andare limitante. Improvvisamente, a causa di un disastro tossico che incombe sui protagonisti, il film si trasforma in altro, con Driver moderno Chevy Chase in una sorta di omaggio a National Lampoon’s Vacation che incontra La Guerra dei Mondi, mentre la paura della morte obnubila le menti dei protagonisti (c’è una scena da incubo notturno che incute terrore), virando così sull’ossessione moderna nei confronti della medicina, della ‘cura’ a tutti i costi, della pillola magica in grado di infondere felicità, benessere, serenità.

C’è tanto materiale umano e sociale, troppo, in White Noise, figlio di un’America anni ’80 già abbondantemente raccontata. Anche al cinema. L’American dream deviato dal postmoderno, con segreti e bugie, paranoie, monotonia e paure, a minare la famiglia moderna. La decomposizione del capitalismo con il centro commerciale paradiso profano di un’umanità allo sbando era già stato al centro di un cult anni ’70, Zombi di George Romero, a ribadire quanto Rumore Bianco dica realmente poco di nuovo, al giorno d’oggi, per quanto si illuda presuntuosamente di farlo.

Morti viventi qui rivisitati, ringalluzziti e corretti da Baumbach, che sul finale, con i migliori titoli di coda degli ultimi anni, realizza la scena migliore del film con una sorta di videoclip alla pasticciere troskista di Nanni Moretti ma in salsa supermarket sulle note del nuovo brano degli LCD Soundsystem.

Nelle precedenti due ore il regista di Mistress America e Frances Ha si mette alla guida di una giostra narrativamente parlando complessa e imperfetta, registicamente parlando fascinosa e pretenziosa, emotivamente parlando romantica e malinconica, visivamente e concettualmente strabordante, complessivamente provocatoria e ondivaga,  dando forma alla storia di una sopravvivenza chiamata famiglia.

 

Voto: 6

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