Spencer, e come nel 2022 Lady D è ancora quell’icona queer

Esce finalmente nelle sale italiane Spencer, claustrofobico e intimo ritratto di Lady Diana. Ma non aspettatevi il classico biopic.

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Spencer, e come nel 2022 Lady D è ancora quell'icona queer
Kristen Stewart in "Spencer", ruolo che l'è valso la prima candidatura agli Oscar 2022, come miglior attrice protagonista
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Se c’è un personaggio nella cultura pop che riesce a mettere d’accordo sia la comunità LGBTQIA+ che tua nonna, è probabilmente Lady D: accomodante e imprevedibile, combattente e martire, perfettamente adattabile ad un servizio di Pomeriggio 5 come per un film d’autore.
Il 24 Marzo 2022 esce nei cinema italiani Spencer – presentato già all’ultimo Festival di Venezia e candidato agli Oscar 2022 con Kristen Stewart come miglior attrice – un film che tua nonna morirà dalla voglia di vedere ma forse non il film che tua nonna si aspetta, e nemmeno tu.

Pablo Larrain mette da parte i tabloid e l’icona pop stampata sulle tazze nei negozi di souvenir per raccontarci “una fiaba tratta da una reale tragedia” nell’arco di tre giorni: tutto inizia e finisce durante le vacanze di Natale del 1991, presso la residenza di Sandringham House, quando Lady Diana Spencer decise di porre fine al suo matrimonio con il principe Carlo d’Inghilterra e mandare in cortocircuito l’intera etichetta della famiglia reale. Il regista cileno riesce a non mettere i piedi sulla più grande buccia di banane dei film biografici: la pretesa di raccontare la verità. Sottraendosi alle leggi del biophic tradizionale e oltrepassando la linea sottile che distingue la realtà dalla finzione, inscena una tragedia da camera tra suggestione e onirico. Oltre l’invadente presenza del suo personaggio, Lady Diana Spencer diventa simbolo di molto altro: è la crisi esistenziale di una donna intrappolata nella rigidità della tradizione, asfissiata da una condotta e un bigottismo che ne offuscano lo sguardo e la sua percezione del reale.

Spencer: perché Lady D è ancora quell'icona queer
Kristen Stewart in “Spencer” (di Pablo Larrain), ruolo che l’è valso la prima candidatura agli Oscar 2022, come miglior attrice protagonista

Ad accompagnarci tra incubo e sogno c’è Kristen Stewart che di Diana ne replica le movenze, la postura ingobbita, la parlata veloce e sussurrata, ma non cade mai nella pantomima fine a sé stessa, mostrandoci la sua personale principessa di Galles. Non da meno questa Lady D sfugge allo stereotipo più snervante di tutti: la vittimizzazione. Non più un angelo caduto dal cielo circondato dagli orchi o una moderna Madre Teresa, ma un’essere umano che impreca, sbatte i piedi, parla con i fantasmi, si strappa (letteralmente) le vesti, ingoia il dolore e lo rigurgita in un piatto davanti agli occhi di tutti o solo sé stessa. Vive le allucinazioni di un horror di Polanski e si dondola contemplando ogni angolazione del suo dolore sommersa da spazi imponenti come la Monica Vitti di Antonioni.

C’è un motivo se nel 2021 anche la comunità LGBTQIA+ è così affezionata a Lady D: guardando Spencer non ho potuto fare a meno di notare come la storia della principessa Diana sia la perfetta metafora per chiunque si è ribellato ad un sistema intollerante e oppressivo, attaccandone le fondamenta: perché sottraendosi al mero reportage, Spencer è prima di tutto la riscoperta di un’identità frammentata. Diana ha dimenticato chi è in funzione della convenzione sociale, le viene chiesto di ripetere un protocollo che la stordisce, tenendola confinata sopra un palco che non spegne mai i riflettori. La rigidità dell’etichetta regale crea intorno a lei una realtà distorta e claustrofobica e per ritrovarsi Diana è costretta a scavare nel suo passato, ripercorrere le mura della propria infanzia, spogliarsi degli splendidi vestiti che hanno scelto per lei e immergersi in quelli di suo padre, destrutturare la sua immagine pubblica per ritrovare quella intima e soppressa, e solo così salvarsi.

Spencer, e come nel 2022 Lady D è ancora quell'icona queer
Diana stringe la mano ad un malato di AIDS presso l’ospedale di Casey House a Toronto, 1991

La formazione di una persona queer spesso si muove dalla claustrofobia alla ribellione: la nostra famiglia, la società, i costumi e i ruoli che ci hanno assegnato alla nascita diventano una targhetta ingombrante, fatta di regole e codici precisi. Quell’ iter già prefissato ci cuce addosso un personaggio che potremmo ritrovarci ad interpretare quotidianamente fino a perdere di vista chi siamo davvero: ma le nostre identità – scalpitanti e scomode alla tradizione – escono fuori volenti o nolenti. La liberazione è fatta anche di brutalità e occhi sbarrati, perché porta scompiglio in un sistema incollato nel passato. La solitudine che accompagna Diana ricorda quella del “diverso”, della pecora nera che continua a disturbare con la propria presenza la famiglia al cenone di Natale: per quanto cerchi di attenersi al ruolo richiesto, la verità le se legge sul viso e l’urgenza dei suoi desideri fa tremare il tavolo. Con un solo sguardo Diana/Kristen Stewart celebra la complessità di una persona che sceglie di non accontentarsi ad un’esistenza prestabilita.

D’altronde, fuori dallo schermo, la vera Diana Spencer era la stessa donna che nell’Aprile 1987 – quando il virus dell’AIDS era ai suoi picchi e persino il personale medico si rifiutava di curare i pazienti – presso il Middlesex Hospital strinse la mano e sedette al fianco di dieci pazienti contagiati. In un anno i cui si ammontava tra i 731 casi confermati e 377 morti, la figura pubblica più influente dell’epoca usava la sua immagine per debellare pregiudizio e stigma, influendo sulla percezione delle masse.

Tutto questo Pablo Larrain non è interessato a raccontarlo, ma la sua Diana che legge Anna Bolena e parla con i fagiani, ne coglie l’essenza.
Se vi aspettate l’elegia strappalacrime di una principessa triste, forse Spencer potrebbe deludervi: è un film sopra le righe, che gioca anche di satira e sottile black humour, re-immaginando il mito di un’icona che tutti hanno sempre voluto raccontare ma nessuno ha mai conosciuto veramente, e proprio per questo potrebbe essere la storia di chiunque. È il lento, inquietante, e infine liberatorio risveglio di una principessa dal suo brutto sogno. È una ballata macabra e al contempo un inno a far vibrare le pareti della realtà stantia che ci circonda, e riscrivere da capo la nostra fiaba.

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