Licenziata dopo il coming out: è successo – a pochi giorni dalla Giornata Internazionale della visibilità Transgender – a una ragazza trans, residente in provincia di Pisa, che si è vista recapitare la lettera pochi giorni dopo aver comunicato al datore di lavoro e ai colleghi la propria identità di genere e l’intenzione di intraprendere il proprio percorso di affermazione.
Le motivazioni addotte per l’interruzione del rapporto di lavoro sarebbero state – ufficialmente – prettamente economiche: a seguito di un calo di produzione, il bilancio interno non sarebbe più riuscito a sostenere una figura in esubero.
La situazione però appariva ben diversa. L’azienda aveva infatti appena assunto nuovo personale, e quindi la scusa non reggeva. Così, la donna si è rivolta allo sportello d’ascolto “Voice” per raccontare l’accaduto e cercare supporto, rivelando di non aver ricevuto alcun sostegno neanche dai colleghi.
Oggi la donna sta valutando varie opzioni legali per rivalersi. Ma il problema è in realtà a livello sistemico, come spiega Mauro Scopelliti, presidente di Arcigay Firenze, a Repubblica.
“Casi come questo rimangono isolati, ma il problema è che spesso non emergono. Negli ultimi 10 anni c’è una fetta di popolazione che ha fatto coming out nel contesto lavorativo. Alcuni si sentono condizionati e ingabbiati: ci capita chi chiede supporto. Abbiamo accompagnato alcune aziende a fare accordi con i lavoratori per la discrezionalità e la privacy circa l’identità dei dipendenti. Una serie di tutele: assunzioni fatte con identità alias, tipologia di email aziendale, spogliatoio, cartellino. In passato anche progetti con le agenzie di reclutamento”.
Un’indagine condotta dall’ISTAT insieme all’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) nel 2023 rivela che il 41,4% degli intervistati percepisce l’essere LGBTQIA+ come un fattore di svantaggio per la propria carriera, riconoscimento professionale, e retribuzione.
Tra i dati più preoccupanti, spicca la frequenza delle microaggressioni legate all’orientamento sessuale: l’80% degli individui gay o bisessuali ha segnalato di averne sperimentata almeno una, mentre il 33,3% riferisce invece di aver vissuto direttamente situazioni di ostilità o violenza sul posto di lavoro.
“Fino a pochi anni fa c’è stata molta invisibilità della comunità trans in Italia. Alcuni Comuni, come Milano, hanno introdotto le carriere alias per gli uffici e chi vi collabora, ma sono esempi estemporanei — spiega Jonathan Lucchesi, presidente dell’associazione Coming Out —. Servirebbe una norma nazionale che tuteli tutti i lavoratori. Ne avevamo una per l’affermazione di genere, degli anni 80, ma ormai è datata e siamo molto indietro”.
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