In questa intervista a tutto campo su libri, scrittura, attualità e importanza del dire no alle discriminazioni, Matteo Grimaldi racconta la sua esperienza di scrittore ed educatore che, con i suoi libri, ha trovato la formula giusta per raccontare la realtà LGBTQ+ ai più giovani.
La tua biografia dice che sei di L’Aquila ma che vivi a Firenze, che sei stato libraio, insegnante e che adesso sei prima di tutto uno scrittore molto seguito e amato. Insomma, i libri, con Matteo Grimaldi, c’entrano sempre in qualche modo. Quando hai scoperto di avere delle storie da raccontare e che dovevi raccontarle?
Ti ringrazio. La mia vita è stata sempre caratterizzata da un doppio binario: la strada del cuore, dell’incerto, rappresentata dalla scrittura, e quella razionale, scientifica, la laurea in informatica, quella che i genitori ti dicono: ti darà il lavoro. Non ho ancora capito alla fine quale delle due prevarrà, e forse la mia miglior scoperta è che possono convivere. Ho iniziato a scrivere perché innamorato della scrittura di Stephen King. Era così coinvolgente, aveva su di me quattordicenne un potere attrattivo indescrivibile. Vivevo intrappolato nei suoi romanzi ed è stato il desiderio di cogliere il segreto di quel potere straordinario a farmi scrivere le mie prime storie. Prima in un diario, poi con la mia macchina da scrivere Olivetti verde, poi su un blog, e poi sono arrivati i libri. E non mi sono ancora fermato.
La famiglia X è uno dei tuoi libri più amati dal pubblico. È una storia LGBTQ+ per ragazzi, ma questo è solo un target. In realtà si tratta di una storia adatta a tutte le età, molto attuale e che fa appello a sentimenti fortissimi. Nella tua esperienza, come è stato raccontare di due padri ai ragazzi e cosa volevi comunicare loro?
Mi piace dire che La famiglia X è un libro dedicato ai giovani lettori, ma non vietato agli adulti. I libri per ragazzi che piacciono a me, un po’ come la mia vita che ti raccontavo prima, devono contenere due livelli di lettura: parlare ai ragazzi innanzitutto, ma anche agli adulti pronti a farsi coinvolgere. Non immaginavo che La famiglia X sarebbe stato scelto da così tanti lettori adulti e ne sono felice.
Quando scrivo sento la responsabilità delle mie parole che so arriveranno a tante giovani menti. E allora mi pongo un obiettivo: la sincerità. Quello che intendo è legato al mio bisogno di sentire la storia profondamente all’altezza del pubblico che incontrerà. Solo quando ne sono certo la consegno nelle mani dell’editore. Ho raccontato la storia di Michael e dei suoi due papà affidatari come avrei raccontato qualunque altra storia di vita sentita. E non avevo l’obiettivo di insegnare qualcosa, un libro di narrativa non dovrebbe mai dare delle risposte. Spero con La famiglia X di aver acceso delle piccole luci, delle domande che portino a una riflessione.
Spesso si crede che raccontare la diversità ai bambini sia difficile e quindi ci si sottrae. In La famiglia X tu hai invece trovato un equilibrio fra stile e contenuti che non solo ha rafforzato il messaggio che intendevi trasmettere, ma l’hai addirittura fatto sembrare facile. Domanda secca: sei stato bravo tu oppure la difficoltà di parlare di coppie arcobaleno ai bambini e ai ragazzi, in realtà, è un problema che non esiste?
Quando ci si rivolge ai giovani e giovanissimi non esistono argomenti tabù di cui non si può raccontare loro. È profondamente sbagliato nascondere ai bambini alcuni aspetti che fanno parte della vita pensando che possano turbarli. Non è l’argomento a fare la differenza, ma la modalità con cui si affronta, il linguaggio, lo stile, il punto di vista. Quando vado nelle scuole a parlare di La famiglia X ritrovo sempre un pubblico di preadolescenti curiosi. Sembrano dire: evviva, finalmente qualcuno ce ne parla! Il loro è un bombardamento di domande su Michael, sulla crisi a scuola, sulla sua amicizia con Zoe, sul carattere strambo di Davide ed Enea, i due papà affidatari, che si occuperanno di lui per il tempo necessario. E ciò che stupirà forse qualcuno è il totale disinteresse dei ragazzi e delle ragazze al sesso dei due papà; è un particolare che quasi non notano, e si arrabbiano molto con una parte della popolazione che nel romanzo si opporrà a questo nuovo nucleo familiare.
Noto invece che proprio i romanzi LGBTQ+ per adulti pubblicati in Italia tendano a spiegare, giustificare e premettere ancora troppo, come a dire: “attenzione, il libro che state per leggere parla di gay e di lesbiche; ciò detto, possiamo andare avanti con il racconto”. Certo, nessun autore italiano lo scrive e forse nemmeno lo pensa, però è un tipo di messaggio che spesso serpeggia fra le pagine e di cui ci si può rendere conto dopo aver letto qualche opera narrativa d’importazione, soprattutto anglosassone, dove il riconoscimento dei diritti civili sembra influenzare direttamente ciò che viene scritto.
Credo che io, te e molti altri continueremo ad avere questa sensazione finché in Italia distingueremo la narrativa LGBTQ+ da tutta l’altra addirittura riservandole, come ho visto fare in qualche libreria, uno spazio separato con le bandierine arcobaleno ai lati. Ho esordito con una raccolta di racconti drammatici: storie di abbandoni, violenze, solitudini, e non mi sono mai domandato che genere di storia stessi scrivendo. Lo stesso col romanzo Supermarket24, che non c’entra nulla né coi racconti precedenti né con La famiglia X. E ti sembrerà strano, ma quando ho lavorato a La famiglia X io non ho mai pensato che stessi scrivendo un libro LGBTQ+, e non lo penso neanche adesso. Se l’hai trovato autentico forse è anche per via di questo approccio, che si pone come unico obiettivo quello di raccontare una delle tante storie possibili e preziose.
Nei tuoi profili social sostieni attivamente il DDL Zan con molti post dedicati. La situazione parlamentare si commenta da sola, tuttavia non è soltanto ciò che accade nelle aule della politica a preoccupare. A una larga fetta dell’opinione pubblica sembra infatti far più paura l’estensione dei diritti (la sola cosa che il DDL Zan farebbe) che la loro revoca. Sempre che certe persone non considerino veramente un diritto offendere, discriminare e pestare a sangue qualcuno sulla base del proprio orientamento sessuale o appartenenza di genere. Tu come la vedi?
Sostengo il DDL Zan perché intanto ho letto il testo, cosa che sto scoprendo non scontata, e poi perché so in prima persona cosa vuol dire essere discriminato, e so bene cosa succede quando poi questi processi arrivano in tribunale. Quasi sempre si risolvono in un nulla di fatto.
È importante dare un nome al reato e punirlo con la giusta pena. In fondo il DDL Zan non è altro che la vecchia legge Mancino, approvata nel 1993 per i reati di incitamento alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici e religiosi, e con questo disegno di legge estesa a motivi di orientamento sessuale, misoginia e abilismo. Si parla quindi di discriminazione mossa da una forma di repulsione per un orientamento sessuale diverso, oppure verso le donne e verso le persone con disabilità. Il diritto d’opinione non viene leso in alcun modo, e dice il falso anche chi sostiene che all’improvviso nelle scuole arriverà il maestro di gender. Le scuole hanno un’autonomia sacrosanta e per fortuna sono anni che promuovono iniziative volte a sensibilizzare gli studenti su temi sociali importanti. Non a caso presento La famiglia X a scuola da tre anni, eppure il DDL Zan ancora non esiste.
L’Italia è uno dei Paesi europei più indietro riguardo ai diritti civili. Torno a dire che la politica è solo la punta dell’iceberg, in quanto se in Parlamento c’è ancora chi può permettersi di sbandierare l’equivalenza omosessualità = pedofilia è solo perché c’è una base elettorale che glielo consente (e che quindi, con molta probabilità, si rispecchia in certi pregiudizi). Prima di salutarci, mi piacerebbe chiederti la tua opinione in proposito. Parafrasando la battuta di un noto romanzo, per Matteo Grimaldi, in Italia, cosa dovrebbe cambiare perché tutto cambi?
Mi piacerebbe poterti indicare uno o due aspetti sui quali intervenire per vedere in un lampo questa trasformazione. È vero che dobbiamo ancora lavorare moltissimo, me ne accorgo tutti i giorni quando sulla mia pagina Facebook ritrovo ondate di insulti omofobi sulla mia persona solo per aver scritto un romanzo che racconta dell’affido di un ragazzo a una coppia di uomini. Però devo dire che in mezzo all’oscurità risplendono moltissime luci di futuro. È su quelle luci che dobbiamo lavorare, ognuno di noi, nel nostro piccolo spazio di movimento, di influenza. Abbiamo un grande potere e spesso ce ne dimentichiamo, presi dalle nostre occupazioni quotidiane: noi possiamo incidere, contribuire ai cambiamenti che riteniamo giusti. Sono azioni apparentemente piccole: intervenire per difendere una persona insultata su un autobus, per esempio – e non mi riferisco solo agli omosessuali, il rispetto si deve a tutti; mettere in campo progetti che lavorino sull’empatia, sulla sensibilità, che coinvolgano i più giovani che sono uno straordinario volano di buoni sentimenti. Si tratta di una rivoluzione culturale che ha bisogno di tempo, di persone motivate, ma anche di leggi più civili.
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