Negli Stati Uniti, oltre 100.000 giovani trans* tra i 13 e i 17 anni non hanno più accesso alle terapie affermative – tra cui anche i bloccanti della pubertà – come conseguenza dei ban imposti dagli stati a maggioranza repubblicana, suprematista e conservatrice.
Una realtà ormai impossibile da ignorare, considerando le similitudini tra ciò che sta accadendo nei nostri stati europei a guida dell’ultradestra – tra cui anche l’Italia.
Sono 24 – su un totale di 50 – gli stati USA dove a bambinǝ e adolescenti transǝ sono esclusi da terapie che una considerevole parte della letteratura scientifica definisce salvavita. Di questi, cinque prevedono il carcere per chi le somministra nonostante il ban.
Una vera e propria epidemia oscurantista che, negli ultimi anni, ha travolto uno dei paesi più progressisti al mondo, inarrestabile anche dall’amministrazione del presidente Joe Biden, più volte espressosi a favore dei diritti LGBTQIA+.
L’ultima notizia arriva dall’Idaho: in risposta a un “appello urgente” inoltrato dalle autorità statali, la Corte Suprema statunitense – a maggioranza conservatrice – ha decretato che il ban, già adottato l’anno scorso, potrà ufficialmente essere applicata su tutto il territorio statale.
Ma si tratta solo dell’ultima desolante novità proveniente dagli Stati Uniti in ambito di transfobia istituzionalizzata. Ricostruiamo questa orrenda escalation dall’inizio.
In principio fu l’Alabama: con il Vulnerable Child Compassion and Protection Act, la governatrice repubblicana Kay Ivey impose ufficialmente l’8 maggio 2022 il primo ban a qualsiasi tipologia di terapia affermativa per l* giovani transgender. Chiunque lo contravvenga, è oggi punibile con fino a 10 anni in carcere e una multa fino a 15.000 dollari.
Dopo una pausa riflessiva fino all’inizio dell’anno successivo, il blocco repubblicano statunitense cominciò a muoversi nella stessa direzione. Il 2023 fu infatti l’anno nero per i diritti LGBTQIA+ negli Stati Uniti – in particolare per quanto riguarda la comunità transgender.
La regolamentazione dei trattamenti di affermazione di genere per i minori ha visto nei primi mesi del 2023 una crescente polarizzazione, diventando un feticcio strumentalizzato da vari esponenti politici dell’estrema destra repubblicana come parte della propria campagna per raccogliere consensi.
In un paese profondamente influenzato dai valori cristiani, diversi politici iniziarono a sfruttare l’ignoranza e il timore verso la cosiddetta “ideologia gender” per guadagnare il sostegno di una vasta porzione dell’elettorato.
Iniziarono quindi a unirsi al trend Utah, Arkansas, e Mississippi, tra gli altri, introducendo restrizioni severe sui trattamenti ormonali e chirurgici per i minori transgender, limitandoli significativamente o vietandoli del tutto.
Molte di queste normative permettono trattamenti solo in presenza di specifiche condizioni mediche, come i disturbi dello sviluppo sessuale verificabili – si parla di intersessualità e pubertà precoce – lasciando poche opzioni a bambin* e adolescenti, nonché alle loro famiglie, se non emigrare negli stati democratici che li permettono.
Le implicazioni per i medici sono altrettanto gravose e variano notevolmente da stato a stato.
In alcuni luoghi, come in Alabama e Idaho, i professionisti sanitari rischiano multe salatissime, nonché la reclusione. Per i genitori che incoraggiano e sostengono l* propri* figlie nel proprio percorso di affermazione, la pena è la perdita della potestà genitoriale.
In altri, come nel Montana e nel Missouri, le conseguenze più “lievi”, e prevedono la perdita della licenza medica o, nel migliore dei casi, pesanti sanzioni disciplinari, volte a creare un ambiente di incertezza e paura che scoraggi i medici dal fornire cure essenziali per il timore di ripercussioni legali.
Ma la comunità trans* non è rimasta certo a guardare. Sono decine le petizioni e le iniziative legislative avviate da attivist* e organizzazioni per i diritti civili legali che vedono queste restrizioni come una violazione dei diritti umani e delle libertà civili, con l’obiettivo di sfidare le nuove regolamentazioni.
I risultati, fortunatamente, ci sono – anche se non sufficienti: giudici federali in stati come l’Arkansas hanno emesso ordinanze temporanee che bloccano l’entrata in vigore di queste leggi. Tuttavia, si tratta appunto di misure temporanee, che potrebbero facilmente essere ribaltate in un attimo, com’è successo in Idaho. Senza contare che la Corte Suprema statunitense – ultimo grado di giudizio su tali questioni – rimane a maggioranza conservatrice.
Un’ondata di transfobia istituzionale spesso interpretata come parte di un movimento più ampio volto ad esacerbare le già profonde divisioni culturali e politiche negli Stati Uniti, dove le questioni di genere e i diritti dei minori diventano oggi terreno di scontro ideologico.
Specialmente in questi mesi, che precedono le elezioni americane di novembre, la destra statunitense appare sempre più inferocita e senza filtri: nelle sue file, suprematisti bianchi, neonazisti e deliranti integralisti religiosi.
Ad essere danneggiat* dalle loro retoriche, come spesso accade, le minoranze vulnerabili. In un’intervista all’Idaho Capital Sun, la dottoressa Jessie Duvall parla di un su* paziente transgender e non binaria, ad alto rischio di suicidio dopo un tentativo fallito.
“Era semplicemente sopraffatt* dalla sua incongruenza di genere Tuttavia, nel corso dei successivi diciotto mesi, mentre cercava aiuto e infine iniziava la terapia ormonale all’età di 17 anni, era più felice, più legger*.”.
Se l’adolescente non avesse avuto la speranza di vedere il suo corpo allinearsi alla sua identità, Duvall temeva che avrebbe potuto riprovare a togliersi la vita, magari riuscendoci.
“Quando togliamo questa opzione, stiamo decidendo di esporre le famiglie e i bambini a una possibile depressione e al rischio di suicidio”, ha affermato. “Stiamo privandoli del diritto di vivere la vita che desiderano e che le loro famiglie sperano possano vivere”.
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