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Brillare è vivere nella verità: intervista a Vittoria Schisano e Alessio Piccirillo

La storia di Cristiano, detto Crilù, un bambino di dieci anni, che a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta cresce e fa piena esperienza di sé.

Brillare è vivere nella verità: intervista a Vittoria Schisano e Alessio Piccirillo - Matteo B Bianchi 31 - Gay.it
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In Siamo stelle che brillano (La Corte Editore), Vittoria Schisano e Alessio Piccirillo – suo storico ufficio stampa nonché amico di lunga data – raccontano la storia di Cristiano, detto Crilù, un bambino di dieci anni, che a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta cresce e fa piena esperienza di sé. Affrontando la miopia del mondo adulto e il bullismo dei coetanei, Crilù attraversa il buio per poi uscire a vedere le stelle: per conoscersi e accettarsi, per imparare a volersi bene. Al suo fianco, zia Delia e il mito di Heather Parisi, che dallo schermo del televisore offre la possibilità di un’evasione, un ideale di libertà finalmente raggiungibile.

Abbiamo intervistato Vittoria Schisano e Alessio Piccirillo.

Com’è nato questo progetto? 

Alessio – È nato alla fine della pandemia, eravamo a Tarquinia e stavamo guardando Ballo ballo, il musical con le canzoni di Raffaella Carrà. Ci siamo subito detti che sarebbe stato molto bello fare una cosa simile, con tutte le sigle televisive della nostra infanzia.

Vittoria – Mentre guardavamo quel film ci siamo chiesti chi fossero le nostre rispettive icone quando eravamo bambini. La mia icona era Heather Parisi, lo è ancora oggi. Così, abbiamo iniziato a ri-leggere i testi di quelle canzoni.

Vittoria Schisano e Alessio Piccirillo

E cosa avete scoperto?

Alessio – Che erano testi molto avanti per i tempi in cui sono stati scritti. Pensiamo per esempio a Vanessa (La Farfalla Vamp) di Heather Parisi, che racconta di una persona trans che va a Casablanca per cambiare sesso, per avere un corpo nuovo. Siamo partiti non tanto dalle canzoni, ma proprio dai testi, che sono dei micro-racconti in sé, ciascuno a proprio modo.

Poi com’è andata?

Vittoria – Inizialmente stavamo pensando a un soggetto per un film musicale, poi abbiamo capito che stava diventando qualcos’altro. Infatti è molto cinematografico, il romanzo.

Alessio – Abbiamo poi riadattato quel soggetto cinematografico per avvicinarlo di più al linguaggio letterario.

Voi vi volete molto bene, lavorate insieme, vi lega una forte amicizia: com’è stato condividere anche la scrittura?

Vittoria – Noi siamo famiglia, siamo abituati a confrontarci, a chiederci consiglio. Un po’ come succede tra amici, un po’ come succede tra fratello e sorella. Io e Alessio siamo anche un’azienda, sono abituata a ricevere da lui consigli di tipo anche professionale. Ovviamente ci siamo anche scontrati: sono napoletana, sono famosa per le mie sfuriate. Dopo due secondi però mi passa, non mi ricordo neanche perché sto discutendo. È stato un bel viaggio. Alessio è sposato, io quasi, però un po’ è come se fossimo una coppia di fatto. Ora abbiamo anche un figlio: questo libro. (ridiamo, ndr)

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Solo chi ha un percorso di vita a suo modo queer può descrivere o interpretare personaggi queer?

Vittoria – Certamente le storie appaiono più vere quando di base c’è un elemento autobiografico, personale. Però, sempre, sia quando si scrive sia quando si recita, c’è poi tutto un aspetto anche immaginario. La verità credo stia nel mezzo. Io odio i registi e gli attori che fanno sempre lo stesso film. Il nostro è un lavoro che è fatto anche di estrema sensibilità e di attenzione verso gli altri. Bisogna entrare nei panni degli altri, far proprio un vissuto che appartiene a qualcun altro. All’inizio è naturale rimanere nella propria pelle, ma poi è eccitante andare oltre. Una delle mie battaglie è anche uscire dal cliché se è solo un cliché. Io sono la mia storia e ne vado fiera, ma bisogna anche emanciparsi dalla propria storia. Non bisogna rimanere ancorati solo al proprio passato, bisogna vivere il presente. Altrimenti è limitante.

Alessio – Nella fase iniziale ci siamo affidati di più alle nostre esperienze, ma poi ci siamo lasciati andare.

La storia di Crilù, protagonista del romanzo, è una storia più ampia: è la storia di tuttə ə giovanissimə che hanno vissuto a cavallo tra anni Ottanta e Novanta. Cosa vi interessava raccontare di quel periodo?

Vittoria – Il coraggio di sognare. Era più facile sognare in quegli anni. Io stessa l’ho fatto molto: mi nascondevo sotto le coperte e disegnavo la vita che volevo e che poi mi sono conquistata con molto fatica. Oggi mi sembra viviamo in un momento storico in cui ci sentiamo tutti più schiacciati. È come se ci stessero togliendo il diritto di sognare. Vorrei con questo libro dare la forza di crederci a chi lo leggerà.

Alessio – Sono gli anni che abbiamo vissuto: quei film, quelle canzoni, quelle situazioni sono quelle che conosciamo in prima persona sia io sia Vittoria. Ci piaceva l’idea anche di scrivere un libro un po’ analogico, senza meccanismi digitali. Ci interessava l’idea di raccontare un tempo in cui era possibile attendere, coltivare l‘attesa del confronto. Volevamo far respirare un vissuto che i ragazzi di oggi non conoscono o che conoscono solo tramite le serie tv o i libri, per esempio. È un bel regalo che abbiamo voluto fare ai ventenni di oggi, che sono nati con il cellulare in mano.

Vittoria – Un regalo che facciamo anche noi, che così torniamo in quegli anni, alle emozioni del primo bacio, alle canzoni, all’adolescenza.

Cosa direste oggi a Crilù?

Vittoria – Gli direi che non è lui quello sbagliato, gli direi di non preoccuparsi, gli direi che non è solo, che ce la farà, che quelli che lo bullizzano sono dei coglioni. Gli adulti hanno il compito abbracciare questi ragazzini, di educarli, di toglierli dalla paura e dalla solitudine in cui vivono. Vorrei portare questo libro nelle scuole per raccontarlo ai più giovani. Lo abbiamo già fatto, a dire il vero, siamo stati in una scuola di fronte a cinquecento studenti. Lo hanno voluto loro, hanno voluto un incontro con me. È stato meraviglioso, perché mi hanno detto che la mia storia ha portato segnali di speranza, di coraggio. Io non ce l’ho fatta perché sono più brava degli altri, ce l’ho fatta perché ci ho creduto e mi sono fatta il mazzo. Bisogna rimboccarsi le mani e andare a prendersi quel sogno. Io sono nata a Pomigliano d’Arco, padre operaio, madre sarta. Quando ho detto che volevo fare l’attrice è stato come dire loro che volevo andare su Marte.

Alessio – Io gli direi di tenere duro e di affidarsi agli amici. Gli amici sono l’àncora di salvezza, sono loro che ci trascinano nei momenti difficili. A mia volta, posso dire che mio padre era un parrucchiere, voleva che entrassi con lui in bottega a Pistoia. Ma ho capito che non mi ci vedevo, immaginavo per me una cosa più creativa. Prendevo i giornali che trovavo nel suo negozio, vedevo le attrici e le truccavo. Sognavo di lavorare con loro, poi è successo davvero.

Questo libro è ancora attualissimo: tutto cambia per non cambiare mai. 

Vittoria – È tristemente attuale: è di pochi giorni fa la notizia del ragazzino che si è tolto la vita. Quel ragazzino sarei potuta essere io, è successo anche a me quello che è successo a lui e neanche ne parlavo con mia madre, credevo fosse colpa mia. Non volevo portare problemi a casa. La mia fortuna è stata avere un desiderio e una forte immaginazione. Mi chiudevo in camera e immaginavo un mondo diverso. Ci sono ragazzini più fragili, però, che non si chiudono nei sogni, che non hanno amici o sorelle con cui parlare.

Il risultato è sotto gli occhi di tuttə.

Vittoria – Sì, le famiglie sono disorientate, non sanno come affrontare certi argomenti. La politica allo stesso modo non lo fa, così come non lo fa la scuola. Questi ragazzini possono trovare risposte solo sui social, dove la narrazione spesso è però slegata dalla realtà e dove si alimenta di molto l’ansia da prestazione. Chi parla con questi ragazzi? Tutti dovremmo parlarci. Per loro è un periodo molto delicato, sono soli. A quell’età c’è bisogno di risposte. Chiamo in causa la politica, chiamo in causa la scuola. Solo in ultima battuta chiamo la famiglia. Le famiglie sono le più deboli: la politica deve arrivare là dove la famiglia non riesce ad arrivare.

Alessio – Prendiamo l’esempio di Giulia Cecchettin. Dopo la sua scomparsa, si è accesa una grande polemica, si è tornati a parlare di educazione all’affettività nelle scuole: servirebbe. Servirebbe un’educazione affettiva, sì, e anche sessuale. Non capisco perché non diciamo mai questa parola, tra l’altro. È l’educazione alla sessualità che può abituare al rispetto. Bisogna creare consapevolezza intorno alla diversità. Speriamo che questa nuova ondata di buonsenso diventi efficace, concreta e che non torni a esserci un silenzio assordante nelle prossime settimane.

Vittoria – Bisognerebbe educare anche al rispetto di sé stessi. La politica non vuole saperne di educazione sessuale e sentimentale perché ha ancora paura della fantomatica teoria del gender, che non si sa che cosa significa. Così si continua ad alimentare la società patriarcale, come si è sempre fatto.

Ancora si chiede di censurare testi che vogliono sensibilizzare intorno ai temi della sessualità, come nel caso di Questo libro non parla di sesso. 

Vittoria – Queste persone sono pazze, credo. Quando avevamo quindici anni noi al massimo c’erano i giornaletti porno. Tutti i ragazzi di oggi hanno accesso a Internet, invece. Si affidano a quello e spesso le risposte che trovano non sono corrette.

Vittoria Schisano e Alessio Piccirillo

Forse è meglio che questi libri – il vostro compreso – li leggessero gli adulti, allora. 

Alessio – Assolutamente sì, le famiglie spesso non sanno gestire le emozioni dei figli. Non c’è comunicazione. I ragazzi dicono che va tutto bene, ma non va bene affatto.

Vittoria – I genitori fanno sempre lo stesso errore, lo hanno fatto anche i miei. Pensano che un figlio sia un progetto. Un figlio è una persona a sé, un genitore capace è colui che sta accanto al proprio figlio o alla propria figlia e lo guida nel suo percorso. Ci sono genitori che vogliono invece fare dei figli i cloni di sé stessi. Questo non è educare. Bisogna educare a essere sé stessi, a essere leali e onesti. Non sono una madre, ma sono una figlia e so quanto possa essere importante avere una dose quotidiana di stima e di supporto.

In questo silenzio assordante della scuola, della famiglia e della politica, prodotti culturali di un certo tipo – libri, serie tv, film – assumono un ruolo ancora più importante. Passa anche da lì, l’educazione.

Alessio – Erano importanti anche per me, anche io cercavo di identificarmi nei pochi, pochissimi, personaggi queer che incontravo nei film o nelle serie tv degli anni Ottanta e Novanta. Oggi è più facile: queste narrazioni stanno davvero normalizzando certi discorsi relativi alle identità non binarie o queer, per esempio. Noi pensiamo a questo piccolo romanzo come a una goccia nel mare. Vogliamo dare anche noi un contributo.

Vittoria – Le piattaforme come Netflix stanno facendo una rivoluzione pazzesca in questo senso. Negli anni Ottanta c’era solo Il vizietto, oggi c’è molto di più, c’è la possibilità di raccontare le infinite sfumature che ci circondano. Io stessa sto lavorando a una serie tv diretta da Ivan Cotroneo, che si intitola La vita che volevi. Non posso svelare molto, ma posso dire però che interpreterò il ruolo di una donna ricca di sfumature, complessa, sfaccettata.

Non possiamo non parlare di zia Delia: una personaggia meravigliosa. Persone così possono salvarci.

Vittoria – Dietro zia Delia si nascondono due persone che sono state molto importanti per me. Una è mia zia Peppina, che mi è stata molto vicina quando ero piccola. L’altra è la nonna di Alessio, che era un gran figa. Una donna con cui si poteva parlare di tutto, dal sesso al ragù.

Alessio: Era la più queer di tutte, mia nonna. Io credo che se Giovanni, il ragazzo di Palermo che si è tolto la vita, avesse avuto una zia Delia forse per lui sarebbe stato più semplice.

Vittoria – Io oggi mi sento come zia Delia, perché ho in me, nel mio stomaco e nel mio cuore, quella voglia di trovare questi ragazzini e abbracciarli tutti e dire loro che ce la faranno. Vorrei dire loro: amate, vivete, sbagliate, ma fatelo.

Alessio – Vittoria non lo dice mai, lo dico io: lei in effetti è un po’ zia Delia. Quotidianamente riceve un’infinità di messaggi da ogni parte di Italia. Sono messaggi di figli ma anche di genitori, persone che non riescono a trovare risposte. Lei risponde con cura, a uno a uno.

Cosa ti scrivono, Vittoria?

Vittoria – Alcuni mi ringraziano perché dicono che senza di me non avrebbero mai saputo chi è il proprio figlio, la propria figlia. Per me quello è il premio più bello. Quando sei un personaggio pubblico e hai la possibilità di raccontarti, hai anche un dovere nei confronti di chi ascolta. Faccio molta attenzione ai messaggi che scrivo: non abbiamo più bisogno di modelli sbagliati. Abbiamo bisogno di modelli sani, che ci invitano a farci dire che andiamo bene così come siamo. Mi impegno di essere all’altezza ogni giorno, spero di esserlo sempre.

Siamo stelle che brillano: cosa vuol dire per voi brillare?

Vittoria – Per anni non ho brillato, ho fatto finta. Un giorno ho avuto il coraggio di dirmi la verità. Prima anche quando ero felice, i miei occhi erano tristi. Oggi anche nelle giornate no, i miei occhi brillano e brillano perché mi sono detta la verità. Brillare è vivere nella verità, togliersi la maschera. Brillare è anche accettarsi, volersi bene con tutti gli errori che abbiamo fatto, in tutti i difetti che possiamo avere.

Alessio – Per me significa essere persone coerenti, gentili. Essere persone buone in una società sempre più individualista .

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