All the Beauty and the Bloodshed, recensione. Gigantesco ritratto di una gigantesca artista queer: Nan Goldin

Il premio Oscar Laura Poitras punta al bis Academy grazie all'incredibile vita di una donna che ha immortalato decenni di comunità LGBTQ+ newyorkese.

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Oggi 68enne, Nan Goldin è un’artista di fama internazionale, attivista, regista, fotografa dichiaratamente bisessuale, diventata celebre negli anni ’80 in quanto cantrice del sottobosco underground newyorkese e della sottocultura gay della Grande Mela. Una donna che tramutò “l’istantanea familiare e intima” in un genere artistico, in arte fotografica.

Ma Nan Goldin è stata anche colei che ha dichiarato guerra alla famiglia Sackler, proprietaria della società farmaceutica Purdue Pharma e produttrice di OxyContin, farmaco che solo negli USA ha causato oltre mezzo milione di morti. Un duplice binario tramutato in straordinario documentario da Laura Poitras, in Concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con All the Beauty and the Bloodshed. Poitras, già premio Oscar con Citizenfour, punta al Leone d’Oro e ad una 2a statuetta grazie all’epico racconto di una donna che ha vissuto molteplici esistenze, intrecciando passato e presente.

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Attraverso diapositive, dialoghi, fotografie rivoluzionarie e rari filmati, All the Beauty and the Bloodshed celebra la grandiosità di Goldin, incrociando l’aspetto artistico, quello umano, privato e politico, passando dalle recenti azioni del PAIN (Prescription Addiction Intervention Now) presso i musei più celebri al mondo dai Sackler finanziati alle immagini di amici, famigliari e colleghi catturate da Goldin tra gli anni ’70 e ’80, senza dimenticare la celebre raccolta Ballad of Sexual Dependency e la leggendaria mostra sull’AIDS Witnesses: Against Our Vanishing del 1989, censurata dal National Endowment for the Arts.

Due narrazioni, quelle straordinariamente seguite da Poitras, che raccontano Nan nel corso dei decenni. Dalla perdita mai dimenticata della sorella adolescente al suo travolgente percorso artistico e personale sulla scena della cultura underground di Boston e Manhattan, tra sesso, droghe ed eccessi, ampiamenti rappresentati con una serie di foto tutte centrate sulla sua “famiglia di amici”. Goldin fu la prima fotografa ad immortalare e documentare la scena queer di New York, raccontando vite fino a quel momento volutamente lasciate ai margini. Omosessuali, lesbiche, drag queen, transessuali. Attivista Act Up, Nan organizzò la prima grande mostra sull’AIDS a New York, fotografando un’intera comunità abbandonata dalle istituzioni, lasciata morire. Selvaggiamente picchiata dall’ex compagno, Goldin, pioniera e ribelle, diede forma a dei ‘selfie’ storici, che mostrarono le percosse subite, il volto tumefatto, dando coraggio a centinaia di donne molestate a farsi avanti, denunciando l’aggressore.

Suddiviso in capitoli, All the Beauty and the Bloodshed gode di documenti eccezionali, fotografie memorabili e filmati d’epoca, riportando in vita una Grande Mela tanto sporca e pericolosa quanto artisticamente parlando vulcanica, sessualmente libera.  Goldin, finita in rehab negli anni ’80, ha poi intrapreso una battaglia per il riconoscimento delle responsabilità della famiglia Sackler nell’epidemia di oppioidi iniziata alla fine degli anni ’90, negli USA. Laura Poitras ha iniziato a seguire Nan nel 2019, ovvero due anni dopo la denuncia pubblica dell’artista contro Purdue Pharma, produttrice dell’ossicodone. Dietro la miliardaria famiglia che ha consapevolmente creato un’epidemia versando denaro ai musei di mezzo mondo ottenendo in cambio detrazioni fiscali e la possibilità di dare il proprio nome a decine di gallerie, la regista ha dato vita ad un film militante, e indubbiamente celebrativo nei confronti della sua (anti)eroina, in grado di collegare l’espressione artistica alla consapevolezza politica, passando per la tragedia puramente personale.

Al centro del documentario troviamo le raccolte fotografiche The Ballad of Sexual Dependency, The Other Side, Sisters, Saints and Sibyls e Memory Lost, in cui Goldin ha ritratto per decenni i propri amici, rappresentandoli con bellezza e cruda tenerezza, senza filtro alcuno. Un’accecante eredità umana  segnata dal dolore della morte suicida della sorella maggiore, negli anni ’60 fatta ricoverare dai genitori in un istituto psichiatrico perché sessualmente libera. Toccata da quel gesto estremo, Nan scappò di casa appena 13enne riproponendosi di non accettare mai più le convenzioni di vita rappresentate dalla sua famiglia. Mantenendo perfettamente la parola data nel mezzo secolo a seguire, da lei pienamente vissuto e profondamente segnato.

Voto: 9

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