«Dobbiamo anche rispettare le leggi e i regolamenti locali dei paesi in cui operiamo», è stata questa la dichiarazione della portavoce di Amazon dopo che nella giornata di venerdì il New York Times ha riportato la notizia secondo cui, negli Emirati Arabi Uniti, il gigante dell’e-commerce ha bloccato i risultati di ricerca di determinati prodotti a tema LGBTQ+.
«Come azienda, rimaniamo impegnati per la diversità, l’equità e l’inclusione e crediamo che i diritti delle persone LGBTQ+ debbano essere protetti. Con i negozi Amazon in tutto il mondo, dobbiamo anche rispettare le leggi e i regolamenti locali dei paesi in cui operiamo»
La scelta sarebbe stata dettata da una serie di pressioni da parte del governo della regione, che avrebbe minacciato l’azienda con pesanti sanzioni se le limitazioni non fossero state messe in atto entro la giornata di venerdì. Già dalla stessa mattina, molti prodotti a tema Pride non erano più disponibili sul portale Amazon attivo negli Emirati Arabi, così come libri su tematiche LGBT o scritti da persone queer. La ricerca di parole chiave come “lgbtq” e “pride” producono zero risultati, così come sono state bloccate anche query molto più mirate, ad esempio “bandiera transgender”, “binder toracico per lesbiche” e “closeted gay”.
Non è chiaro quali siano state le sanzioni in cui sarebbe incappata Amazon, ma i documenti visionati dal New York Times parlano di una chiara richiesta di eliminare tutti i rimandi ai prodotti inerenti all’argomento LGBTQ+.
Chiaramente, il colosso dell’e-commerce è finito nell’occhio del ciclone. Le politiche di Amazon promuovono l’inclusione e il supporto alla causa della comunità, propositi che tuttavia vanno a scontrarsi proprio con le leggi di quei paesi in cui il suo servizio opera e che sono apertamente anti-LGBT. È naturale quindi chiedersi fin dove i propositi dell’azienda sostengono la comunità e dove invece cedono il passo alla legge del profitto.
C’è da dire che, anche negli Stati Uniti, Amazon non se la sta passando troppo bene. Proprio la scorsa settimana, nella sua città natale, si è tenuto il Seattle Pride. Finora l’azienda ha promosso la marcia elargendo fondi e prestando il proprio nome come sponsor. Tuttavia, l’associazione che organizza il Pride della città ha dichiarato di aver tagliato tutti i rapporti con Amazon a causa del suo sostegno a politici anti-LGBT e libri anti-trans. Dalla dirigenza di Amazon sarebbero infatti partiti circa 450,000 dollari di donazioni ai legislatori che hanno votato contro l’Equality Act del 2020.
La scelta di Amazon di cedere alle pressioni del governo degli Emirati Arabi Uniti è stata criticata su più fronti, soprattutto perché nella regione l’omosessualità è illegale e punibile con sanzioni o con la prigione.
Va detto che la zona EAU si è recentemente modernizzata, approvando leggi che la rendono più appetibile agli investitori occidentali come la decriminalizzazione del sesso prima del matrimonio e il cambio dal fine settimana islamico, che comprende il venerdì e il sabato, a quello composto da sabato e domenica. Le discoteche sono molto simili a quelle europee e nel 2016 è stato anche istituito un Ministero della Tolleranza (dall’inquietante suono vagamente orwelliano).
La crociata contro l’omosessualità, però, continua imperterrita. Nemmeno un mese fa era arrivata la notizia che proprio l’EAU ha censurato il nuovo film Disney Pixar “Lightyear”, che non verrà rilasciato nei cinema, perché contenente un personaggio gay e una scena con un bacio tra persone dello stesso sesso (tra due donne). La mossa è stata poi emulata da altri Paesi del Medio Oriente e dell’Asia meridionale.
The Media Regulatory Office announced that the animated film Lightyear, which is scheduled for release on 16th June, is not licensed for public screening in all cinemas in the UAE, due to its violation of the country’s media content standards. pic.twitter.com/f3iYwXqs1D
— مكتب تنظيم الإعلام (@uaemro) June 13, 2022
L’omosessualità continua quindi a rimanere un tabù. Il cedimento di Amazon a queste leggi risponde ovviamente a una questione di mercato da parte dell’azienda, ma è anche un chiaro e allarmante segnale di come il sostegno e la fedeltà delle grandi aziende multinazionali alla causa LGBTQ+ sia spesso estremamente volatile. L’ambasciata americana nell’EAU non ha ancora rilasciato dichiarazioni, e si aspettano sviluppi sulla vicenda.
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