Ormai è guerra. La Disney ha citato in giudizio il governatore della Florida Ron DeSantis (R) per “una mirata campagna di ritorsione da parte del suo governo” come replica alle critiche dell’azienda alla sua famigerata legge “Don’t Say Gay“.
Nella giornata di mercoledì il consiglio di cinque membri che DeSantis ha nominato per sovrintendere i servizi governativi nel distretto amministrativo speciale della Disney ha votato per sciogliere un accordo di sviluppo vecchio di decenni che consentiva alla Disney di autogovernare il suo resort Disney World di 25.000 acri e il complesso del parco a tema.
Pochi minuti dopo il voto del consiglio, la Disney ha intentato causa contro DeSantis, il suo consiglio e altri funzionari del governo statale presso il tribunale federale, come riferito dal New York Times.
La Disney accusa DeSantis e altri funzionari statali di una “incessante campagna per armare il potere del governo contro la Disney come rappresaglia per aver espresso un punto di vista politico“. Uno sforzo, quello guidato dai repubblicani, che “ora minaccia le operazioni commerciali della Disney, mette a repentaglio il suo futuro economico nella regione e viola i suoi diritti costituzionali“.
Nella causa, la Disney ha affermato di aver “esaurito ogni sforzo per cercare una risoluzione” con i repubblicani della Florida, non lasciando loro “altra scelta che intentare questa causa“.
Per decenni, la Florida ha consentito alla Disney di controllare i propri servizi, tra pompieri, polizia, gestione dei rifiuti, nonché il generare energia, la manutenzione stradale, l’emissione di obbligazioni e la pianificazione dello sviluppo all’interno del suo distretto speciale. Il distretto Disney, situato nelle contee di Orange e Osceola, era di fatto uno scambio politico per la quantità enorme di turismo generata dai resort Disney in tutto lo Stato.
Poi è successo che la Disney ha aspramente criticato l’ormai celebre legge “Don’t Say Gay”, impegnandosi a lavorare per farla abrogare. DeSantis ha replicato duramente, definendola un “regno aziendale irresponsabile” che aveva “privilegi speciali straordinari”. Ed è partito all’attacco. Lo scorso febbraio il governatore repubblicano ha firmato un disegno di legge che ha abolito l’autogoverno della Disney sul suo distretto. Non contento, ha minacciato di costruire una prigione accanto al resort Disney puntando addirittura alla supervisione statale delle giostre di Disney World. Ha infine minacciato di tassare gli hotel della Disney e imporre pedaggi sulle strade che conducono ai parchi a tema della società di intrattenimento.
DeSantis è stato sfottuto da un giornale locale, che ha sottolineato come abbia dichiarato “guerra termonucleare a un topo dei cartoni animati“, ed è stato deriso dal Saturday Night Live, avendo sposato sua moglie proprio a Disney World nel 2009. Walt Disney World, va ricordato, ospiterà la più grande convention LGBTQIA+ al mondo per i prossimi due anni, mentre in California si terrà il primo storico Pride d’America in una struttura Disney.
Secondo Jacob Schumer, avvocato, la Disney vincerà la causa contro DeSantis perché le azioni del governatore rappresenterebbero un chiaro esempio di ritorsione, violando i diritti di libertà di parola protetti dalla costituzione.
La contestatissima legge Don’t Say Gay, nota anche come Parental Rights in Education Act, è stata firmata lo scorso anno e vieta qualsiasi discussione su orientamento sessuale e/o identità di genere nelle classi elementari e medie, limitando discussioni nei licei. L’allora CEO Disney Bob Chapek disse di essere pronto a fare di tutto, per cancellare la legge, dopo un iniziale silenzio che aveva suscitato proteste persino tra i dipendenti del parco Disney più famoso al mondo.
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