Intervista a Eli, in arte Queer3lf: make-up artist non binary mutaforma

A Missione Beauty su Rai 2 si è dichiaratə fuori dal binarismo del genere: "Le bambine mi stavano lontane perché sembravo un maschio, i ragazzi una volta in pubertà hanno iniziato a considerarmi non più come amicə ma come un cesso, che sembrava un maschio."

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“Sono un sacco di concetti in un unico piccolo essere”. Si presenta a noi così Eli, in arte Queer3lf, make-up artist e content creator attivə su TikTok ed Instagram, finitə sotto le luci dei riflettori della tv per via della sua partecipazione a Missione Beauty, talent show dedicato al mondo del trucco in onda su Rai 2.

Nel corso dell’ultima puntata del programma, condotto da Melissa Satta, Eli ha confessato di aver fatto coming out come persona non binary un anno fa. La rivelazione non è passata di certo inosservata, complice la scarsa rappresentatività che la comunità queer può vantare nei programmi dei palinsesti delle reti generaliste. Ma chi si nasconde dietro il fondotinta e i glitter? E poi, bisogna vivere il make-up soltanto come barriera colorata fra sé e il mondo o anche come strumento per comunicare al mondo ciò che ancora a fatica si riesce ad accettare? Abbiamo incontrato Eli.

Parlaci di Eli, persona ed artista.

Sono natə nel 1997 a Milano, nella fredda città senz’anima dove ancora vivo. Sono una persona molto più sensibile ed empatica del necessario, e convivo da anni con un disturbo legato alla sfera emotiva. Sono molto estroversa, scherzosa e rumorosa, ma allo stesso tempo mi sento estremamente a disagio in una stanza piena di persone. Mi piace vedermi anche per questo come un essere in continuo cambiamento, un mutaforma, e il trucco mi ha dato i mezzi per rendere questo ancor più reale. Quando ero bambinə mi sentivo solə: le bambine mi stavano lontane perché sembravo un maschio e secondo loro mi comportavo come tale, mentre i ragazzi una volta entrati in pubertà hanno iniziato a considerarmi non più come un amicə ma come un cesso, che sembrava un maschio, a cui potevano urlare “lesbica” come se fosse un insulto, che potevano far finta non ci fosse. Questo, inizialmente, mi ha avvicinato al trucco. Volevo essere qualcun altro, non mi piacevo e il trucco era un modo per essere più appetibile a me stessə e a chi mi voleva così.

Che cosa rappresenta per te il make-up?

È stato un portale: ho capito di avere un pochino di talento e così l’ho coltivato senza mai fermarmi, fino allo sfinimento. Una volta finito il liceo, mi sono diplomatə al corso di trucco e parrucco dell’Accademia del Teatro alla Scala di Milano – nella quale poi ho frequentato anche il corso di Special Makeup – e ho iniziato a fare gavetta lavorando in negozi e sui set. Ho cominciato a fare contenuti durante il primo lockdown e credo che in generale quest’anno e mezzo sia stato, dal punto di vista artistico, una bella palestra. Il mio stile è sicuramente drag, esagerato, colorato, luccicante e allo stesso tempo è cupo, aggressivo e a volte misterioso.

Quali artistə o esperienze di vita – viaggi, libri, serie tv – ti hanno ispirato maggiormente nella tua formazione?

Quello che mi ha cambiato la vita è stato appunto l’arte drag, perché mi ha mostrato un modo diverso di truccare, ovvero la metamorfosi completa, lontana dal piccolo miglioramento del trucco correttivo o beauty. Tra il 2020 e il 2021 ho avuto un’altra enorme fissa che ha capovolto la mia estetica per tutto l’anno: ho visto Twin Peaks di David Lynch e ho poi cominciato a guardare molti film e serie horror. Il cinema è una grossissima passione per me, ed è dove spero di lavorare un giorno. Tantissimo dei miei lavori si ispira anche a film, serie e cartoni animati. Mi ispirano anche molto musicisti ,quali per esempio Tyler, the Creator, Frank Ocean e BROCKHAMPTON.

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A proposito di make-up, GLOW UP, trasmissione britannica in onda su Netflix, ha inserito i pronomi dei concorrenti nelle presentazioni. Credi che i media possano essere utili nel generare consapevolezza sul tema dell’identità?

Potrebbero se fossero in primis informati, perché altrimenti non solo la cosa non funzionerebbe, ma rischierebbe di fare l’effetto contrario e creare disinformazione generale. Ho apprezzato il fatto che in Missione Beauty, il programma a cui sto partecipando, io sia riuscitə a mettere la pulce nell’orecchio ad un’intera produzione che non era informata sul tema – cosa comprensibile, vista la situazione di disinformazione totale che c’è in Italia – e ho visto ogni persona interessarsi sempre di più in modo sano. Così anche con gli altri concorrenti: abbiamo legato tantissimo tra di noi e li sento praticamente tutti i giorni, erano più commossi loro di me quando hanno visto il mio coming out in televisione ed è molto bello aver anche creato un ambiente così safe con loro.

Quali sono le difficoltà maggiori per una persona non-binary nella vita di tutti i giorni?

Potendo parlare solo della mia esperienza personale, a parte gli sguardi e le prese in giro per strada, non succede molto. Tuttavia, credo che le persone trans* vivano ogni giorno paura e violenza di ogni tipo nei modi più disparati, ovviamente dati dalla società classista e patriarcale in cui viviamo, perché l’essere queer non preclude né l’assenza né la presenza di altri privilegi. È vero, anche io ho problemi quali per esempio la disforia di genere, ma le persone trans* in Italia non hanno diritto a cure mediche e/o psicologiche e spesso viene negato loro aiuto, così come accade per le persone intersessuali e per altre categorie stigmatizzate di cui si parla poco o niente. Credo che le vere tematiche importanti da sollevare possano essere di questo tipo. (ndr: in Italia è possibile la transizione di genere mediante Sistema Sanitario Nazionale, ma resta inteso il senso di solitudine da parte della società a cui fa riferimento l’intervistatə, qui riportato anche dall’Istituto Superiore di Sanità – utile anche questo link dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere)

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Nel corso dei mesi stai notando una maggiore apertura fra le persone verso i temi dell’identità di genere?

Se ne sta parlando sicuramente di più, certo, ma ciò non è necessariamente indice di una maggiore apertura. Quello che sto notando, anzi, è che si sta creando uno standard estetico a riguardo: la persona non binaria, ora, nell’immaginario comune, è una persona androgina, il che è anche una cosa ben lontana dalla realtà. Mi sembra che le persone a cui dare visibilità vengano selezionate in base ai canoni estetici che già sono radicati nella società, e ciò non rende la situazione migliore, anzi, rischia di diventare uno stereotipo e/o una feticizzazione.

Al netto di questo, che futuro immagini per la comunità LGBTQ+ in Italia?

È una domanda che mi spaventa e a cui vorrei rispondere con positività, perché la meritiamo, ma non mi sembra ci siano i presupposti necessari. Tantissime persone queer italiane negli ultimi mesi hanno cercato di portare l’attenzione su molti grossi problemi, come per esempio quelli che si potrebbero risolvere col DDL Zan o la scarsissima presenza di rifugi per chi ne ha bisogno, e sta cambiando poco e nulla, anzi, vedo spesso più astio, più persone che si rivolgono a noi come se non ci mancasse nulla e ci lamentassimo del niente, come se avessimo il mondo in mano. Queste persone non hanno mai negato qualcosa a sé stesse per paura di non essere accettate, perché non ne hanno mai avuto bisogno. Cerco di ricordarmi questo. Per il resto, prevedo staticità, ma spero il meglio.

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