Film documentario d’animazione diretto da Jonas Poher Rasmussen, Flee ha sbancato l’ultimo Sundance Film Festival ed è stato selezionato dalla Danimarca come candidato ufficiale agli Oscar del 2022. Film di chiusura del NewFest, festival cinematografico LGBTQ+ di New York, Flee racconta in modo creativo la vera storia di un rifugiato gay afghano attraverso interviste animate, a protezione dell’identità del suo protagonista “Amin”.
Il risultato, acclamato dalla critica internazionale, è un commovente ritratto di resistenza da parte di una persona costretta a fuggire dall’Afghanistan, da adolescente, insieme alla propria famiglia. Intervistato da Out, Jonas Poher Rasmussen ha spiegato come mai abbia voluto raccontare la storia di Amin.
“L’ho incontrato quando avevo 15 anni e lui 16. È arrivato da solo nella mia sonnolenta città danese dall’Afghanistan. Abbiamo iniziato a incontrarci ogni mattina alla fermata dell’autobus per andare al liceo insieme, e lentamente siamo diventati molto amici. Già allora mi interessava sapere come e perché fosse venuto in Danimarca. Ma lui non voleva parlarne, e io ovviamente lo rispettavo. Sono passati anni, ho iniziato a lavorare in radio e ad un certo punto — 15-16 anni fa — gli ho chiesto se potevo fare un documentario radiofonico sulla sua storia. Ha detto di nuovo di no, ma ha anche detto che sapeva che avrebbe dovuto raccontarla, a un certo punto, e quando sarebbe stato pronto avrebbe voluto raccontarla a me. Ho pensato a lui per tutti questi anni. Poi otto anni fa sono stato invitato a un workshop qui in Danimarca chiamato “Anidox”, dove riuniscono animatori e documentaristi per sviluppare idee per documentari animati. Mi hanno chiesto se avessi un’idea e ho pensato che un doc animato potesse essere il modo giusto per raccontare la storia di Amin. L’ho chiamato e ha detto di sì. Anche perché con l’animazione potevamo renderlo anonimo, il che gli ha reso molto più facile condividere la sua storia per la prima volta. Non voleva che le persone che incontrava in un ambiente professionale o in pubblico conoscessero i suoi segreti, i suoi traumi più intimi. Rendendolo anonimo attraverso l’animazione ha mantenuto il controllo e lo ha davvero liberato per poter condividere il suo storia”.
Grazie all’animazione la storia di Amin, taciuta per decenni, ha così potuto prendere forma. L’Afghanistan degli anni ’80, la Russia degli anni ’90, poi la Danimarca, l’accettazione di sè, il coming out. “Flee è una storia sulla memoria e sul trauma“, ha precisato il regista. “L’animazione ci ha permesso di supportarlo. Con l’animazione abbiamo potuto essere molto più espressivi di quanto avremmo potuto essere con una telecamera. A volte, quando ci sono cose di cui Amin faceva fatica a parlare o non riusciva a ricordare, l’animazione cambia e diventa più surreale e sognante, concentrandosi più sulle sue emozioni che sul dover essere realistiche”. “È una specie di storia di doppio coming out. Il film si chiama Flee e ovviamente parla della fuga fisica di Amin dall’Afghanistan alla Danimarca, ma parla ancora di più di come Amin abbia sempre dovuto fuggire da chi fosse realmente. Nella sua infanzia, non poteva essere gay perché non era possibile in Afghanistan. E quando è arrivato in Danimarca non riusciva a parlare del suo passato, quindi ha sempre dovuto nascondere parti della sua identità. Per me, Flee significa trovare un posto dove puoi essere chi sei con tutto ciò che questo comporta”. “Spero che Flee aiuti a dare un volto umano ai rifugiati qui in Occidente e alle persone queer ovunque non siano ancora accettate“.
Flee non ha ancora una data d’uscita per il mercato italiano.
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