Nel giorno di San Giuseppe, Festa del Papà, su Famiglia Cristiana il cardinal Ravasi racconta le vicende di un uomo semplice, umile, che si mette a disposizione della storia e che, a guardarlo oggi, sembra anticipare di duemila anni l’idea gigantesca eppure ancor oggi rivoluzionaria dell’amore paterno verso un figlio con il quale non c’è legame di sangue.
Le informazioni su Giuseppe, padre legale di Gesù, racconta Gianfranco Ravasi, non sono molte sui testi biblici. Lo sposo della Vergine Maria viene soprattutto raccontato nella letteratura apocrifa, in particolare nel Protovangelo di Giacomo.
Il Vangelo di Marco addirittura non parla mai di Giuseppe, definendo Gesù semplicemente come carpentiere figlio di Maria. Sono i Vangeli di Luca e Matteo che raccontano che il padre legale di Gesù si chiama Giuseppe, che è appunto un artigiano (in greco antico: téktôn, letteralmente uno che maneggia la tecnica manuale) che lavora la pietra o il legno. Da qui la vulgata – non del tutto corretta – di classificare Giuseppe come falegname. In verità si presume potesse svolgere il lavoro del carraio, dunque il riparatore di carri, oppure quello di fabbricante di aratri e altri strumenti agricoli, oppure – secondo i riferimenti di Ravasi alle fonti apocrife – Giuseppe era più semplicemente un carpentiere.
Grazie al suo lavoro, Giuseppe garantì a Maria e Gesù una vita dignitosa, anche se non agiata. Gesù imparò da suo padre ad essere un téktôn.
L’esistenza di fratelli e sorelle di Gesù, e la scarsa compattezza delle poche e disparate fonti a riguardo (fonti apocrife e dintorni, su questo Ravasi non è preciso), rendono complicata la ricostruzione della composizione della famiglia di Giuseppe.
Fratelli e sorelle di Gesù, presenti su più testi, erano secondo alcuni semplici cugini o parenti più lontani. Per altri interpreti, si tratterebbe di fratellastri e sorellastre che Giuseppe ebbe da un precedente matrimonio.
Nel Vangelo di Matteo, secondo Ravasi, c’è il più dedicato e insieme tenero ritratto dell’atteggiamento di padre non biologico di Giuseppe nei confronti di Gesù. Il primo Evangelista descrive Giuseppe come incuriosito dalla gravidanza di Maria, ma al contempo premuroso di non apparire oppressivo rispetto all’amata e a quella che Ravasi nel suo articolo definisce “una storia più grande di lui”. Giuseppe avrebbe voluto ripudiarla, ma un senso d’amore paterno lo ha indotto ad occuparsi di quella giovane donna, amata profondamente, e della creatura che ella portava in grembo.
E sarà Giuseppe a dare il nome “Gesù” al figlio generato da Maria. Giuseppe dunque, sempre secondo lo scritto emozionale e divulgativo che Ravasi ci regala dalle pagine di Famiglia Cristiana, poiché era un uomo “giusto”, consegna la propria esistenza a un progetto che lo trascende, accetta di occuparsi di Maria e di quel bambino che sta per nascere.
Il moto interiore che induce Giuseppe ad impegnarsi affettivamente in questa famiglia anomala non biologica è frutto della volontà divina, che ricerca sempre la giustizia, scrive Ravasi. E qui l’uomo di fede Ravasi assegna a Dio il merito di un grande amore paterno verso un figlio non biologico. Giuseppe resterà fedele accanto a Maria, e sarà padre di Gesù, sarà “figura paterna positiva e responsabile”.
Che sia stato Dio, o la divina provvidenza, o qualche spirito organico della Natura, o chissà – magari – l’Amore che muove le energie dell’Universo, di certo Giuseppe non era padre biologico di Gesù, eppure è nel giorno della sua festa che celebriamo l’amore che tutti i papà donano ai propri figli. Tutti i figli.
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