Era la notte tra il 27 e il 28 giugno del 1969 quando, nel celebre bar gay di New York, lo Stonewall Inn, una fiamma si accese: la fiamma della rivoluzione. In quegli anni, la polizia omofoba della Grande Mela aveva l’abitudine di entrare improvvisamente nei locali LGBT, fare irruzione violenta e detenere persone a caso per il solo fatto di essere queer. Eppure, quella notte lo Stonewall Inn fu testimone di un finale diverso. Due drag queen trans, Sylvia Rivera, latinoamericana, e Marsha P. Johnson, afroamericana, decisero di rispondere. Al grido di “we are everywhere” (noi siamo ovunque) si alzarono e scagliarono un oggetto contundente agli agenti di polizia. Questo diede inizio a una lotta che durò tre giorni, conosciuta storicamente come “i moti di Stonewall”. Riguardo alla natura dell’oggetto, c’è chi sostiene che fosse una bottiglia. La maggioranza delle fonti parla di un mattone. Ma la leggenda, assai più favolosa, vuole che fosse un tacco 12 – e a me, onestamente, piace pensarla così. Un anno dopo, il 28 giugno del 1970, la città di New York tenne il primo Pride della storia.
Qui lo Speciale Pride 2023
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In questi ultimi anni ho documentato l’esistenza di un pensiero abbastanza diffuso all’interno della nostra comunità. Diversi sono dell’idea che il Pride che si celebra ultimamente si sia trasformato in un evento più commerciale che rivendicativo, più spettacolare che emancipatorio. Questa è la ragione che spinge molte persone a non sentirsi rappresentate e, di conseguenza, a non partecipare. Ovviamente è una scelta lecita che va rispettata senza giudizi. Dopotutto non si è (né ci si deve sentire) obbligati a partecipare. Tuttavia, credo che sia necessario riflettere sulla vera natura del Pride, in quanto la sua essenza, in realtà, non è mai cambiata.
La manifestazione nacque dal bisogno di rivendicare con orgoglio il nostro diritto a vivere in libertà, a essere e ad esserci. A partire dai nostri corpi. Soprattutto con i nostri corpi. Come ci insegna l’antropologia, il corpo è allo stesso tempo qualcosa che abbiamo e qualcosa che siamo. Da una parte è quella macchina con la quale compiamo azioni e occupiamo il nostro posto nel mondo; dall’altra, è il luogo della soggettività per eccellenza. In altre parole, è la dimensione attraverso la quale esprimiamo la nostra unicità. Non è un caso che la rivoluzione queer l’abbiano fatta drag queen in paillettes e tacchi alti, e non banchieri in giacca e cravatta.
Chi ritiene che il Pride sia diventato una “carnevalata” non ha tutti i torti. Il punto è che tale aggettivo è, in realtà, un vero complimento. È l’appellativo che meglio descrive la manifestazione sin dalle sue origini. Il Pride è soprattutto spettacolo: sarcastico, solenne, spensierato, provocatorio e sfarzoso. Parteciparvi significa spogliarsi dell’Io normativo e imposto per vestirsi del Sé. Significa indossare la maschera più autentica del proprio essere, senza alcun senso di colpa, vergogna o giudizio. Questa è liberazione. È la più alta forma di rivoluzione, perché non esiste libertà se il corpo non è libero. Il Pride è la festa che celebra la libertà del corpo in tutte le sue dimensioni: spirituale, mentale, emotiva, energetica ed erotica. È impossibile che il Pride rappresenti effettivamente tutti, a priori. Perché il nostro collettivo, così come la realtà, è eterogeneo, immenso, contraddittorio, eclettico e complesso. Per questo motivo, ognuno di noi vive il Pride in maniera diversa e specifica. Come afferma l’attore e attivista Pietro Turano, “Pride significa avere il coraggio di riconoscersi diversi gli uni dagli altri; anche fra simili”.
Se tu che mi stai leggendo senti di non essere rappresentato dal Pride, voglio dirti che è totalmente ragionevole. Ciononostante, ricorda che sei tu il primo rappresentante di te stesso. Tu decidi come vuoi rappresentarti, raccontarti e celebrarti. In fin dei conti, il Pride è una festa aperta a chiunque, senza alcun bisogno di mettersi in lista o seguire un dress code. Se non ti piace come viene celebrato, a maggior ragione ti invito a partecipare. Vieni e crea il tuo Pride. Prenditi quello spazio che è sempre lì ad aspettarti. È tuo di diritto. Prendendo parte a questa celebrazione farai in modo che la giornata ti rappresenti nel modo più consono per te. Allo stesso tempo, a tua volta diventerai il rappresentante di tutte quelle persone che condividono il tuo stesso pensiero e modalità di partecipazione.
Detto questo, non possiamo negare che ci siano aziende o personaggi pubblici che partecipano esclusivamente per il pinkwashing. Così come non possiamo non evidenziare la problematicità della normatività dei corpi queer nelle campagne mediatiche dedicate alla manifestazione. C’è sicuramente tanto da fare, soprattutto per la visibilità delle persone disabili, trans, intersessuali e asessuali. Proprio per questo il Pride è ancora necessario. Forse ora più che mai. Se nel 1970 rappresentava “solo” il presente, ora il Pride è passato, presente e futuro. È commemorazione dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che hanno dato la vita per noi. È divertimento nel quale si festeggiano le nostre conquiste. È speranza di un futuro ancora più civile ed egualitario.
Gilbert Baker, creatore della nostra iconica bandiera, diceva che “la verità, il coraggio e l’amore sono i germi della rivoluzione”. In effetti, la rivoluzione, tanto ostinata come gioiosa, tanto seria come eccentrica, l’hanno fatta le persone scomode e audaci. L’hanno fatta quelle persone che, fiere del proprio essere, non hanno scoperto il tesoro alla fine dell’arcobaleno, bensì hanno trovato nello stesso arcobaleno il vero tesoro. Il Pride è una festa, un altro modo di fare politica. È gioia, è comunità, è diversità. Questa giornata ci ricorda che la vera uguaglianza può compiersi quando la diversità viene incorporata e riconosciuta, ossia, quando tutti i colori dell’arcobaleno sono presenti e celebrati. In altre parole, l’uguaglianza solo può esistere con le differenze, nelle differenze, grazie alle differenze.
Fonte: Rainbow Warrior: My Life in Color, Gilbert Baker (ed. 2019)
Foto: © Valerio Nico, Gay.it – Milano Pride, 2 Luglio 2022
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Ciao Fulvio, perdona il ritardo nel risponderti. Mi ero perso questo commento. Capisco il tuo punto di vista e sono d'accordo con te quando dici che il Pride è soprattutto con noi stessi, ogni giorno. Andare alla manifestazione non è obbligatorio e non ci si deve sentire sbagliati per non voler partecipare. Ogni scelta è lecita. Ognuno di noi contribuisce alla causa del nostro collettivo in modo diverso e sempre legittimo. Tuttavia, a mio avviso la manifestazione merita tantissimo; è un'esperienza da provare anche solo una volta. Un caro saluto, Emanuele.
Il problema del Pride semmai è che ci stanno troppi etero, troppi sbirri, troppe multinazionali. Tuttavia, il vero punto della questione non è nemmeno questo. Il punto è che non ho bisogno di quel Pride lì, perché il mio GAY-Pride lo posso celebrare ogni giorno dell'anno, vivendo me stesso e facendo ciò che più mi piace. E poi non potrei mai essere me stesso in una manifestazione pubblica, l'atto osceno in luogo pubblico è ancora reato. :D