“La sensibilità pare un bagaglio troppo pesante da trascinare, specialmente se sei “maschio” e non ti rifai a dei canoni stereotipati” scrive Teresa Manes.
Suo figlio, Andrea, si è tolto la vita il 20 Novembre 2012.
Il fratello Daniele, di soli dieci anni, lo trovò appeso con una sciarpa alla scala di casa.
Sei giorni compieva quindici anni e si divertiva anche a limarsi le unghie e mettersi lo smalto.
Teresa gli consigliò di scegliere il colore che preferiva.
In molti hanno dato la colpa allo smalto alle dita, identificando tutto il malessere di un quindicenne nelle unghie colorate.
“La colpa non è mia che ho dato il permesso ad Andrea di usare lo smalto e di dare forma alla sua libertà di espressione” scrive Teresa “La colpa è di quanti non vedono come una frase apparentemente innocua si accompagni al peso enorme del pregiudizio”.
Al liceo Cavour di Roma lo chiamavano “il ragazzo dai pantaloni rosa”, perché Teresa li aveva erroneamente scoloriti con la candeggina.
I suoi aguzzini lo chiamavano anche in tanti altri modi, uno più crudele dell’altro.
Un tormento culminato in una pagina Facebook dove veniva umiliato a cadenza regolare, ogni giorno. Fino a spegnerlo.
Dopo il suicidio la magistratura, in seguito a due anni di indagine e davanti l’evidenza, ha negato l’esistenza di bullismo e omofobia. Un gesto dipeso da altro, dicono, come la separazione dei genitori o il rifiuto di una ragazza.
Teresa non ha colto i segnali di quel malessere.
Racconta che sette anni fa a malapena si parlava di bullismo e non esistevano campagne di sensibilizzazione.
Ma ripercorrendo gli eventi, Teresa ha riconosciuto anche le avvisaglie invisibili all’epoca: l’alopecia (all’epoca pensò solo ad uno shampoo sbagliato), il fatto che si mangiava compulsivamente le unghie delle mani e dei piedi. Dettagli che oggi Teresa identifica come i i segni di un malessere taciuto, nascosto agli occhi del mondo esterno, persino i suoi.
Oggi Teresa gestisce la pagina Facebook a suo nome Pagina Prevenzione Bullismo.
Scrive libri sulla tematica e incontra studenti nelle scuole d’Italia con l’obiettivo di smuovere le coscienze, sensibilizzare carnefici al rispetto delle differenze al di fuori di ogni stereotipo, renderli consci degli effetti collaterali di una “battuta innocua”.
Cerca anche di supportare le vittime, farle sentire non sole e invitarle a parlare. Non chiudersi nel proprio silenzio e denunciare le violenze che subiscono.
Ma la missione di Teresa è rivolta non solo ai ragazzi, quanto ai docenti e i genitori, nel tentativo di mantenere un dialogo limpido, un inviato alla condivisione di ciò che vivono fuori le mura domestiche.
In un paese che ancora non tutela o riconosce gli atti di omobitransfobia, Teresa utilizza il proprio dolore per cambiare il corso degli eventi, per far sì che nessun adolescente si ritrovi a vivere una tragedia come quella di Andrea.
“Abbiamo bisogno più che mai di educare all’empatia” scrive “E spero che anche attraverso questa pagina si possa piantare qualche semino buono.”
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