Sembrerebbe una storia a lieto fine quella di Adhila Nassrin e Fathima Noora, due giovani ragazze indiane di religione musulmana che la scorsa settimana hanno visto riconosciuto il diritto di vivere apertamente la loro relazione nello stato di Kerala, sulla costa tropicale indiana di Malabar. Ma i problemi per loro non sono ancora finiti. Le loro famiglie, strettamente conservatrici, continuano ad opporsi alla loro storia d’amore.
Il tribunale era stato coinvolto nelle settimane precedenti quando di Fathima non si avevano più tracce. I familiari l’avevano rapita portandola contro la sua volontà da uno psichiatra, nella speranza che la terapia potesse farla tornare etero. Adhila si è rivolta all’Alta Corte di Kerala, che ha ordinato alla famiglia di far comparire la ragazza in aula. La vicenda si è conclusa per il meglio, ma la coppia teme che ci possano essere ulteriori ripercussioni da parte delle rispettive famiglie, che già in precedenza le avevano minacciate, anche in modo pesante.
La storia tra Adhila e Fathima nasce tra i banchi del liceo in Arabia Saudita, dove hanno vissuto per alcuni anni. Il loro amore è stato vissuto a lungo di nascosto da amici e familiari. Solo il mese scorso, hanno rivelato ai parenti la loro relazione, scatenandone l’ira.
In India l’omosessualità non è illegale e le coppie dello stesso sesso possono vivere insieme e ufficializzare un’unione civile (il matrimonio egualitario non è ancora riconosciuto). Da parte della società, tuttavia, è ancora alto un imponente muro di pregiudizi che spesso spinge le famiglie a rifiutare i figli omosessuali. Sono noti soprattutto casi in cui i genitori abbiano fatto internare le figlie femmine perché lesbiche e colpevoli di portare disonore al nome della famiglia.
Se, in quanto a diritti, la comunità LGBTQ+ è messa meglio di altri Paesi, è anche vero che la tradizione indiana vede ancora un predominante ricorso ai matrimoni combinati. E ovviamente i genitori pianificano di far sposare le proprie figlie con un uomo che possa incrementare il loro tenore di vita.
Anche per questo motivo, e dopo aver ricevuto minacce di morte se avessero avuto intenzione di sposarsi, Adhila e Fathima si sono rivolte al Vanaja Collective, un centro di rifugio per persone LGBTQ+ e altre comunità marginalizzate nel distretto di Kozhikode.
Il collettivo, che offre anche consulenze legali per chi è in situazioni che richiedono l’intervento della legge, ha testimoniato affermando che, mentre le ragazze si trovavano con i loro legali, più di 20 persone tra genitori e familiari hanno fatto irruzione negli uffici, pretendendo che l’associazione le “arrendesse” a chi se ne doveva occupare.
Per le due giovani il processo è stato stremante, soprattutto dal punto di vista emotivo. Parlando a una tv locale, Fathima ha affermato: «Sapevamo che avremmo dovuto combattere per stare insieme. Quello che non ci aspettavamo è il supporto che abbiamo ricevuto dai media, dalla Corte e da moltissime persone».
Anche se i vecchi usi e costumi rimangono ben radicati nella cultura comune, le cose stanno comunque cambiando. Lo schieramento dell’opinione pubblica dalla parte della coppia è solo uno dei tanti segnali arrivati negli ultimi anni dai Paesi indiani, che sempre più stanno aprendo le loro leggi alla comunità LGBTQ+.
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