Il principe gay indiano che lotta per i diritti LGBT: “Voglio il matrimonio egualitario e lo stop alle terapie riparative”

Manvendra Singh Gohil, che è il 39° discendente diretto della dinastia indiana di Gohil Rajput, da 15 anni dedica la propria vita a lottare per i diritti LGBTQ+.

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Manvendra Singh Gohil
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56 anni, Yuvraj Shri Manvendra Singh Raghubir Singh ji Sahib, conosciuto come Manvendra Singh Gohil, è il principe dello Stato indiano di Rajpipla. Gohil ha fatto la storia dopo aver fatto coming out nel 2006, all’età di 41 anni. Inizialmente diseredato per aver pubblicamente dichiarato la propria omosessualità, in seguito è stato riaccettato dalla famiglia

Il principe, che è il 39° discendente diretto della dinastia indiana di Gohil Rajput, da 15 anni dedica la propria vita a lottare per i diritti LGBTQ+ nel proprio Paese.

“Il giorno in cui ho fatto coming out, le mie effigi sono state bruciate. Ci sono state molte proteste, la gente è scesa in piazza gridando slogan che dicevano che avessi portato vergogna e umiliazione alla famiglia reale e alla cultura indiana”, ha ricordato Gohil in un’intervista a Insider. “Ci sono state minacce di morte e richieste che mi togliessero i titoli nobiliari”.

Colpa, sottolinea il principe, dell’ignoranza che circonda la comprensione della comunità queer in India, dove l’omosessualità è stata considerata illegale fino al 2018. Nel 1991 costretto a sposare la principessa Yuvrani Chandrika Kumari di Jhabua, Manvendra Singh ha poi dovuto chiedere il divorzio, perché finalmente consapevole di essere omosessuale: “Ho pensato che dopo il matrimonio sarei stato bene, perché non ho mai saputo e nessuno mi aveva mai detto che fossi gay e che tutto questo fosse normale. L’omosessualità non è una malattia. Mi duole moltissimo aver rovinato la sua vita. Mi sento colpevole. È stato un disastro totale. Un fallimento totale. Il matrimonio non è mai stato consumato. Mi sono reso conto di aver fatto qualcosa di molto cattivo“.

Nel 2000 Manavendra ha creato Lakshya Trust, associazione dedicata all’educazione e alla prevenzione dell’AIDS, di cui è direttore. L’organizzazione è una fondazione pubblica che opera soprattutto per la comunità LGBT: fornisce servizi di orientamento psicologico, cliniche per trattare le malattie di trasmissione sessuale, offre biblioteche e promuove l’uso dei profilattici. Nel 2018, Gohil ha donato un suo palazzo per farlo diventare centro per la comunità LGBTQ indiana.

Oggi 55enne, in passato Gohil è stato sottoposto alle cosiddette “terapie di conversione”, per ‘guarire’ dall’omosessualità. In famiglia non potevano accettare di un figlio ‘diverso’. Atrocità che oggi vuole combattere, rendendole illegali nel Paese.

“Pensavano che fosse impossibile che potessi essere gay perché la mia educazione culturale era stata così ricca. Non avevano idea che non ci fosse alcuna connessione tra la sessualità di qualcuno e la sua educazione”, ha ricordato Gohil a Insider. “Si sono rivolti a vari medici per operarmi al cervello, per rendermi etero, mi hanno sottoposto a trattamenti di elettroshock”.

Ma visto e considerato che le “terapia di conversione” non ebbero alcun risultato effettivo, i leader religiosi indiani dissero al principe di limitarsi a “comportarsi normalmente”. Fingendo di essere eterosessuale. Da allora, Gohil ha abbracciato la propria identità, ha fatto coming out e intrapreso una missione. Quella di “continuare a combattere” per sostenere la comunità LGBTQ+ indiana.

“È importante che le persone come me che hanno una certa reputazione all’interno della società continuino a lottare. Non possiamo semplicemente fermarci perché il Paese ha abrogato la Section 377. Ora dobbiamo combattere per questioni come il matrimonio tra persone dello stesso sesso, il diritto all’eredità, il diritto all’adozione. È un ciclo senza fine. Io devo continuare a combattere”.

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