Monica Romano, consigliera PD al Comune di Milano nella giunta di Beppe Sala, e da poco entrata nell’assemblea nazionale sotto la segreteria di Elly Schlein, è stata insultata via social per aver portato avanti una battaglia di civiltà. Romano, in un post social, aveva chiesto di fermare la gogna mediatica che si andava propagando sui network ai danni di persone che rubavano sulla metropolitana di Milano.
Ma andiamo con ordine.
Quando si parla di privacy e tutela dei dati sensibili, cosa ci viene in mente? Sicuramente, le credenziali della banca online, la password del nostro account e-mail o dei social, le foto intime inviate al partner, e così via.
Pensiamo che, esattamente come noi, tutti hanno il diritto di tutelarsi, e che non sia giusto che qualcuno diffonda le nostre informazioni private a chicchessia, specialmente quando si tratta di dati potenzialmente pericolosi per la nostra sicurezza, o che dipingano un’immagine di noi diffamatoria se decontestualizzati.
Eppure, quel “tutti” è relativo. Le eccezioni ci sono: è un bias di percezione dell’altro. Una “zin*ara” non merita lo stesso grado di scrupolo, anche se le sue azioni sono oggettivamente deplorevoli? È una riflessione offertaci, nelle scorse ore, da Monica Romano.
“Quest’abitudine di filmare persone sorprese a rubare sui mezzi Atm di Milano e di diffondere i video su pagine Instagram con centinaia di migliaia di followers è violenza, ed è molto preoccupante. Punto”
Sì, perché l’ultimo trend su TikTok – poi naturalmente esportato anche su altre piattaforme social – è quello di munirsi di smartphone e filmare le borseggiatrici sui mezzi pubblici, in particolare, in metropolitana.
Questi video non verranno dunque conservati e poi utilizzati per sporgere denuncia, ma diffusi a una vastissima platea di persone di tutti i tipi. C’è chi commenterà insultando pesantemente le borseggiatrici, chi le minaccerà e chi proverà a difenderle.
Ma se domani, invece, dovesse spuntare una persona per nulla interessata alla conversazione social, ma determinata a risolvere la questione personalmente, dal vivo? Ed è proprio su questo che Romano si sofferma, continuando:
“La smettano, sia quelli che realizzano i video, sia chi gestisce i canali Instagram che li rendono virali di spacciare la loro violenza per senso civico, perché senso civico non è. Le cittadine e i cittadini che sanno davvero che cos’è il senso civico alzino la voce e invitino a spegnere le telecamere perché non è così – trasformando le persone in bersagli – che si ottiene giustizia. Di violenza e di squadrismo ne abbiamo già avuti abbastanza davanti a un liceo di Firenze e nelle acque di Cutro”.
Un appello al vero senso civico delle persone, non quello dei giustizieri mascherati da TikTok, per cui è ormai diventata un’abitudine “doxxare” qualcun altro come forma di giustizia privata. Una pratica estremamente pericolosa.
Se ci si ferma un attimo a pensare, in un paese civile e democratico è impossibile trovarsi in disaccordo sulla questione: chi sbaglia paga, ma secondo le leggi dello Stato. È follia pensare di farsi giustizia da soli – oppure, in un atteggiamento ancora più codardo, sperare che lo faccia qualcun altro e fare semplicemente da tramite.
Perché, diversamente, quale sarebbe lo scopo di tali video, che mostrano il volto del reo e la zona in cui si trova? Mettere in guardia le persone? Mostrare il degrado che affligge Milano? Tutto cade nel vuoto quando si scorrono i commenti sotto a questi post.
E anche quando si dà a un’occhiata a quelli sotto il post di Monica Romano. Una vera e propria gogna social, tra insulti e addirittura minacce, che hanno costretto la Consigliera ad eliminare il post poche ore dopo la sua pubblicazione.
Tra i commenti, anche qualche esponente del centrodestra. Una polemica sfuggita di mano, una repressione violenta verso un’istanza che avrebbe invece dovuto mettere d’accordo tutti.
Oggi, Romano ha scelto di intraprendere vie legali contro chi l’ha insultata. Un epilogo sempre più frequente per chi, come la Consigliera, sceglie di schierarsi dalla parte delle fasce marginalizzate e vulnerabili, andando oltre la facciata: lo aveva dimostrato il suo impegno, lo scorso anno, nella battaglia per l’introduzione del Registro di Genere.
Questa vicenda lascia l’amaro in bocca ed è lo specchio di un’Italia sempre più intollerante e – talvolta – classista, che si scaglia sul primo bersaglio utile, il più semplice. E, per farlo, è disposta anche a sacrificare un po’ della propria umanità.
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