Se quella tra il Partito Gay Lgbt+ e il Partito della Famiglia era una sfida, non è stata una gran bella sfida. Giocata sul filo di pochissimi voti, esempio: circa un voto a sezione a Roma per il Partito Gay (e a Roma di sezioni ce ne sono 2.603) e qualcosa di meno il Popolo Della Famiglia.
Se aver eletto 10 consiglieri con una manciata di voti da assemblea di condominio è una “rivoluzione”, diciamo subito che parliamo di una rivoluzione molto modesta. La creatura di Fabrizio Marrazzo è una figura mitologica, che arriva dentro questo mondo fuori tempo massimo, tutta schiacciata a garantire una tipologia in estinzione (quella degli attivisti puristi, esclusivamente Lgbt), con quel “Gay” violaceo, così poco attrattivo dal punto di vista comunicativo in un mondo che si definisce sempre più fluido, non binario, che scivola dalle etichette. Sembra il museo delle cere questo partito, sensato forse negli anni settanta del novecento, mentre fuori, a “fare le cose” ci sono quelli che sanno che le cose si cambiano plasmando i partiti, portando dentro tematiche e istanze, facendo quello che gli antagonisti della comunità lgbt, cioè i pro-vita, fanno da tempo con Lega e Fratelli d’Italia: pressione, come ha già analizza Massimo Prearo nel suo “Ipotesi neocattolica: Politologia dei movimenti anti-gender”:
“Questi episodi di scambio tra partiti e movimenti, che ho analizzato nel mio libro, e che si intensificano in occasione delle scadenze elettorali, dalle amministrative alle europee, sono uno degli elementi che permettono a queste realtà di rinforzare la loro rete di sostegno, allargare le potenziali risorse disponibili, normalizzare il loro integralismo e proseguire il loro lavoro di erosione delle strutture della democrazia dei diritti dall’interno”.
Il movimento lgbt non lo ha capito fino in fondo. Il Partito Gay ha deciso di imboccare la strada contromano. Anche la scelta dei propri candidati, approssimativi, spesso imbarazzanti, totalmente sconosciuti all’interno della comunità, dà l’impressione di un ammasso di studenti che si aggrappano alle bandiere come alla coperta di Linus. “Né a destra, né a sinistra”, ripetono sventolando la coperta ideologica di un mondo scomparso (a vedi i Cinquestelle che hanno seguito la stessa fila di non-pensiero e dopo qualche anno sono andati a sbattere).
Ci sarà un motivo se i partiti esclusivamente lgbt esistono solo nelle Filippine, in Sud Africa, in Pakistan e in Turchia. Naturalmente qui nessuno critica la scelta di chicchessia di scendere in politica. Fabrizio Marazzo lo ha fatto, e gli va dato atto di coraggio. Il suo partito si è misurato e ha perso. Ho sentito dire l’ex candidato sindaco che: “Da oggi esistiamo, da oggi non si potranno voltare dall’altro lato perché “non siamo una priorità”, da oggi inizieremo a fare i ‘fatti’, battendoci per i diritti degli LGBT+”, come se non ci fossero stati e state prima di lui gli Angelo Pezzana, Franco Grillini, Titti De Simone, Imma Battaglia, Vladimir Luxuria, Sergio Lo Giudice, Alessandro Zan e la lista potrebbe continuare, cioè attiviste e attivisti prestati alla politica che hanno portato dentro i partiti istanze e visibilità, battendosi per la propria comunità. Come se non fosse esistita una storia di 50 anni di movimento. Come se questa tornata non avesse eletto validi attivisti Lgbt dentro i partiti che potranno davvero fare qualcosa di più che raccogliere qualche like sui social.
Che Marrazzo intenda strattonare un mondo politico che sui diritti per le persone lgbt ha sempre sonnecchiato o peggio, è un dato scontato da tutti, o quasi tutti, gli osservatori. Ma altrettanto scontato era che sarebbe stata un’operazione senza successo. Lui stesso ne è consapevole, infatti ha già tirato fuori l’ostilità dei media, l’omotransfobia sui manifesti, i grandi finanziamenti. L’analisi della sconfitta, insomma, prevede che la non riuscita dell’operazione politica sia imputabile a tutto tranne che alle inadeguatezze del soggetto politico in sé. È un discorso che potrebbero fare altri partiti per così dire minoritari. Facciamo un esempio pratico: il Movimento 3V, “vaccini vogliamo verità”, potrebbe dire di aver subito le stesse angherie, eppure i terrapiattisti della salute hanno raccolto solo a Roma 7 mila voti. Cinquemila in più del Partito Gay e sono entrati nei consigli comunali a Trieste e a Rimini, un complotto anche questo? O semplicemente il popolo, che dovrebbe sostenere il Partito Gay ha detto: “no, grazie”?
Insomma a Marrazzo va dato atto di essere l’unico spregiudicato capace di prospettive ad averci provato. Ma l’esperimento è fallito e adesso rischia di diventare una parodia, già abbastanza presa di mira sui social dalla stessa comunità lgbt. Certo, non gli importa È suo obiettivo procedere a piccoli passi sulla lunga distanza pensando che questo sia il metodo più producente per creare qualcosa. Dubito. Ma mettiamo caso che sia così. Qui la distanza è corta.
La prossima battaglia elettorale (la più importante, quella per il paese), non si combatterà né si deciderà tra due partitini, tra due uomini, tra due bandierine ma tra due visioni di mondo che non riguardano soltanto i diritti lgbt ma i diritti tout court. Due visioni. Se perde, l’altra porterà indietro questo paese di 50 anni. Ci sono tutti i segnali.
Infine una precisazione. Fabrizio Marrazzo ha ora deciso di fare propria la battaglia sul matrimonio egualitario. Battaglia sacrosanta, ovviamente. Ha lanciato una proposta per un referendum sul matrimonio egualitario. Non esiste un referendum del genere nel nostro ordinamento. Il referendum per le leggi ordinarie è solo abrogativo. Qui la legge non c’è. Il matrimonio nella Costituzione e nelle leggi specifiche non richiede per sposarsi il requisito della diversità di sesso e della capacità a procreare. Queste sono prerogative del Diritto Canonico. Ma su questo, apriamo da subito un ragionamento a parte.
Referendum matrimonio egualitario: i vaneggiamenti del Partito Gay e come stanno davvero le cose
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