Il 20 Novembre 2012 se ne andava Andrea.
A quindici anni si è tolto la vita, impiccandosi con una sciarpa.
Amava limarsi le unghie, talvolta mettersi lo smalto, e a scuola lo chiamavano ‘il ragazzo dai pantaloni rosa‘ (erroneamente scoloriti con la candeggina).
Un animo gentile e sensibile schiacciato da risatine, battute crudeli, e una pagina Facebook piena di insulti.
Isolato dal pregiudizio di una società che ancora si sconvolge per un colore.
“La colpa non è mia che ho dato il permesso ad Andrea di usare lo smalto e di dare forma alla sua libertà di espressione” scrive sua madre Teresa “La colpa è di quanti non vedono come una frase apparentemente innocua si accompagni al peso enorme del pregiudizio”.
Per Teresa Manes raccontare ancora oggi la storia di suo figlio, significa aprire e chiudere la sua bara: “Ma è un dovere” ribadisce.
Oggi Teresa Manes è presidente dell’Associazione Italiana Prevenzione Bullismo insieme alla stessa pagina Facebook.
Il suo incommensurabile dolore è diventato motore per una rete di supporto che vuole sensibilizzare i più giovani e non permettere a nessuno di vivere lo stesso incubo di Andrea. Teresa vuole educare all’empatia, risvegliare la consapevolezza, e far sì che ogni giovane possa esprimersi tra i banchi di scuola senza soffocare tra luoghi comuni e la brutalità del machismo più stereotipato.
Anche ponendosi contro i media che divulgano quella comicità che legittima slur omofobi e non fa ridere più nessuno.
Teresa invita le vittime a non isolarsi, ma parlare a denunciare gli abusi subiti superando quella vergogna che porta a nascondere il dolore sotto il tappeto finché non è troppo: “Abbiamo bisogno più che mai di educare all’empatia” scrive “E spero che anche attraverso questa pagina si possa piantare qualche semino buono”.
A dieci anni dalla tragedia, mandiamo un abbraccio a Teresa, ricordando Andrea e tutte lə altrə giovani che non ce l’hanno fatta, lottando per un presente migliore. Perché siano lə ultimə.
“Perché, oggi, dire: «Mio figlio è morto per bullismo» è come dire: «Mio figlio è morto per niente!».E se la mia azione può anche in minima parte contribuire alla nascita di una legge che lo regola, beh… che dire…” scriveva Teresa nel 2015 in una lettera su Vanity Fair “Sarà pure un pensiero folle quello che sostiene la mia azione ma, in fondo, solo se un sogno è sostenuto da una follia, quel sogno si avvera”.
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