Continua a dividere e a far rumore lo sketch firmato Checco Zalone, ieri sera sbarcato al Festival di Sanremo con una ‘favoletta scorretta’ che molti hanno definito transfobica. Se Amadeus ha difeso il comico pugliese e Drusilla Foer, stasera co-conduttrice, ha rivendicato la libertà di qualsivoglia artista a potersi esprimere, diversa è stata la lettura data dal MIT- Movimento identità trans, che ha definito il “siparietto” di Zalone semplicemente “terrificante”.
Ci spiace ripetere l’ovvio ma la transfobia non fa ridere, non fa ridere la puttanofobia, non fa ridere il razzismo, non fanno ridere i luoghi comuni, non siamo “metà e metà”.
Una lettera, uno sfogo, quello firmato MIT, che punta il dito contro il Festival di Amadeus definendolo “un calderone di pinkwashing e greenwashing. “Siamo stanche del fatto che non si sia neanche accennato alla caduta del Ddl Zan. Siamo stanche di vedere queste rappresentazioni alla caduta del Ddl Zan. Ci arrabbiamo perché non è “solo Sanremo”, è come l’italiano medio vede la nostra comunità. Avrebbero potuto fare qualcosa di diverso per una volta, fare battute che non fossero sessiste/ transfobiche/ razziste / classiste/ puttanofobiche e invece hanno fatto parlare come al solito un uomo cis in maniera caricaturale delle nostre vite, l’ennesima occasione persa“.
Sul finire, un appello agli autori e al conduttore della kermesse: “Vorremmo che qualcuna prendesse parola sul palco di Sanremo, indossasse una fascia fuxia sul braccio o facesse qualcosa per far capire che si dissocia dal sipiarietto di Zalone e si schierasse in difesa della comunità lgbtq+“.
Uno sketch “contro l’omotransfobia’, a detta di chi rigetta l’accusa di transfobia da parte del comico, che personaggi politici omotransfobici hanno immancabilmente applaudito. Segno che il ‘messaggio’ lanciato da Zalone non sia stato propriamente capito. Perché Matteo Salvini e Mario Adinolfi si sono complimentati con Zalone, così come Giorgia Meloni. La leader di FDI se l’è presa con “i fanatici del politicamente corretto come al solito non gradiscono (o forse non capiscono) la comicità libera e sono già partiti all’attacco, con esponenti politici che addirittura chiedono le scuse o che venga “corretto il tiro” della sua satira. Che tristezza. Viva Checco Zalone e la sua comicità libera e pungente”.
Quella ‘libertà’ che puntualmente gli stessi Meloni, Salvini e Adinolfi vorrebbero ‘imbavagliare’, nel momento in cui un artista si battezza su un palco, due uomini si baciano all’Ariston, dei nastrini rainbow fanno loro la scena, tanto di parlare di ‘ideologie LGBTQ’ al Festival. Rimanendo sul fronte politico, ha preso posizione anche Monica Cirinnà, felice che “si ponga l’attenzione sulle tante discriminazioni di genere presenti nel nostro Paese è un segno di grande maturità della nostra emittente pubblica. L’omofobia è un dramma che attanaglia la vita di tante persone e bene ha fatto Zalone a sceglierlo come tema del suo intervento“, ha precisato la senatrice Pd, per poi cambiare marcia. “Quello a cui bisogna prestare attenzione quando si toccano argomenti così delicati, è la scelta delle parole e degli esempi che rischiano di non passare al pubblico per come sono stati pensati dall’autore, come hanno fatto notare autorevoli esponenti della comunità trans. Stimolare la riflessione è una spinta positiva che deve accompagnare tanto il pubblico quanto i comici“.
“Più lo guardo e più mi chiedo cosa voleva fare Zalone sul palco dell’Ariston“, ha scritto sui social Gabriele Piazzoni, Segretario Generale Arcigay. “Lo stile è il solito di Zalone usare gli stereotipi più diffusi per poi alla fine criticarli, però questa volta lo ha fatto in modo così difficile da comprendere che ho seri dubbi sul fatto che il messaggio di critica a omofobi e transfobici sia arrivato a chi doveva arrivare. Mentre è arrivata di sicuro la reiterazione di alcuni stereotipi negativizzanti agli occhi dell’opinione pubblica verso le persone trans e non solo. Molte persone si sono sentite comprensibilmente ferite da quel tipo di narrazione in prima serata su Raiuno. Il palco dell’Ariston parla a mezzo Paese, ma temo che la fiaba che ci dicono doveva essere “contro l’omotransfobia” non sia stato colta come tale dalla maggioranza del pubblico, che però ha sicuramente ridacchiato per la storiella del figlio e del padre che vanno a letto con la stessa prostituta trans brasiliana, ma dubito che tra una risata e l’altra abbia capito la critica “intellettuale” all’omotransfobia”. Mi interrogo sul perchè abbia costruito in quel modo la propria performance, che non si sia reso conto di passare come un carro armato su un tema così delicato e complesso e sui vissuti di tantissime persone?“, si è domandato Piazzoni. “Non penso sia riuscito nell’intento di usare quegli stereotipi negativi per criticare chi li usa… ma temo abbia solo colpito chi da quegli stereotipi viene ferito ogni giorno. Non ho la verità in tasca e forse mi è sfuggito qualcosa, ma io non riesco a vederla come una operazione mediatica positiva… e spero di sbagliarmi. Insomma, secondo me il messaggio contro l’omotransfobia lo hanno forse capito solo quelli che non hanno problemi di omotransfobia ma ne hanno sul modo in cui è arrivati a tentare di dare questo messaggio… tutto il resto del Paese si è più o meno semplicemente”gustato” la storiella retrò anni ’80 della prostituta trans che va con padre e figlio senza porsi troppe domande, ma anzi sentendosi nella “confort zone” di ridere per quegli stereotipi nazionalpopolari… che se sono in prima serata su Raiuno, sviluppati in quel modo appaiono come legittimi. Con buona pace dell’evoluzione culturale e sociale di questo Paese“.
Da Bologna, il Cassero LGBT Center ha così concluso: “La satira sulla pelle delle minoranze NON È SATIRA. E no, non fa ridere“. Non c’è altro da aggiungere.
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