MILANO – Giovanni è un dolcissimo ventiseienne che vive con la famiglia ad Acilia, una borgata a sud di Roma. Somiglia ad un guerriero del dialogo, della volontà di non occultarsi dietro una tetriparesi spastica che lo affligge da sempre, ma ha volontà di lottare e vivere con immensa dignità e socialità. A 11 anni sente pulsioni sessuali rivolte ad altri ragazzi. Entra ed esce da una depressione profondissima dovuta al suo male e alla difficoltà di relazionarsi con persone del suo stesso sesso. Cattolico credente, difende la sua religiosità anche contro l’omofobia parrocchiale del posto, sente più avanti di voler confessare l’amore che nutre per i ragazzi prima ai cuginetti, poi ad altri familiari e infine ai genitori che non la prendono bene. Ha anche difficoltà con i suoi coetanei perché l’handicap muta genìa nelle persone divenendo razzismo e abbandono. Per raggiungere la capitale e incontrarsi con altri al Mieli, necessita di un accompagnatore che paga di sua tasca.
Giovanni, ma non è il solo, desidera relazionarsi, incontrare gente, amare e abbattere i muri delle discriminazioni, come trovare spazi per il divertimento e i propri piaceri. «Il disabile – dice – viene visto come una persona che non può avere una sessualità, e questo anche in famiglia». I problemi di Giovanni o di Francesco e di quanti vivono in difficoltà corporea, non riguardano solamente la società e le istituzioni, ma anche gli omosessuali e alcune organizzazioni. Per i portatori di handicap spesso riesce difficile avvicinarsi ai gay che nello stereotipo usuale vengono ammantati di bellezza, fashion e muscoli. Risulta poi altresì difficile prendere contatti con le associazioni spesso spiazzate e inadeguate a comprendere e accogliere gay e lesbiche disabili. Giovanni racconta di tante strutture che non lo hanno neppure ascoltato. E le stesse difficoltà li ha vissute Francesco, un napoletano paraplegico che, a differenza di Giovanni, ha avuto una buona ricettività in famiglia. Alex, un altro partenopeo, trasferitosi a Milano è riuscito a costruirsi una vita dignitosa con la sua tenacia e i servizi di una grande città.
A Roma, l’Ente Nazionale Sordomuti, da quasi quattro anni, aiuta e assiste i non vedenti omosessuali, con un paio di dislocazioni provinciali. «Il nostro primo obiettivo era di sensibilizzazione all’interno della comunità sorda in genere, proprio per far conoscere la realtà omosessuale – dice Riccardo Marafatto, dirigente della onlus romana – Il problema principale è quello della visibilità.
Molti di coloro che ci contattano vogliono mantenere l’anonimato. Abbiamo cercato di sensibilizzare le persone ma, a tutt’oggi solo i gruppi di Roma e di Padova riescono a funzionare organizzando seminari e incontri ricreativi. La carenza d’informazioni non aiuta le persone sordomute ad accettarsi anche se noi cerchiamo di mettere a disposizione degli interpreti lis. Il nostro dipartimento si sta dando una ristrutturazione per avere più risorse, e in autunno faremo un convegno proprio sull’omosessualità».
Referenti privilegiati dei portatori di handicap restano gli organismi istituzionali, almeno al principio, mentre le organizzazioni omosessuali, ma solo nelle grandi città, diventano uno spiraglio per quanti desiderano organizzarsi ed entrare in contatto con persone omosessuali. E’ il caso del Triangolo Silenzioso, che ha sede a Milano, presso il Cig, coordinato da Raffaele. Nato nel 1993 per iniziativa di quattro gay non udenti, fornisce informazioni e spunti di socializzazione tra i soci. Tutti i venerdì, sabato e domenica, il gruppo si incontra al bar Next Groove in via Sammartini, 23.
Come per il resto dei 4-5 milioni di portatori di handicap viventi in Italia, il problema delle uscite e della frequentazione dei locali, è dovuto alle barriere architettoniche, scoraggiando quanti vogliano frequentare discoteche e sedi omosessuali. Yasmin, una ragazza di Bologna, costretta a vivere su una sedia a rotelle spiega: «Necessito di una che mi accompagni per andare a fare shopping o passare a trovare le amiche al “Cassero”. Ma la cosa che più mi fa rabbia e il persistere di barriere culturali. Solo attraverso l’abbattimento delle barriere culturali cadranno quelle architettoniche».
A Torino, l’Associazione Informagay insieme al Consorzio Abele (Tel. 011.3040934) aiutano gli audiolesi, coadiuvati da interpreti, a vivere al meglio la loro identità sessuale, con un servizio di ascolto rivolto anche a coloro che desiderano cambiare o hanno cambiato l’identità di genere. Ma anche qui non vi è solo la problematica fisica dell’individuo ma anche quello della visibilità.
Delle persone con disabilità, sia fisiche che di disagio mentale, se ne occuperà anche il Gay Pride toscano. Matteo Marliani, dell’Arcigay di Pistoia spiega: «Dedicheremo una giornata del Pride alla sessualità delle persone disabili, con un convegno che vuole aprire un confronto tra disabili, operatori, volontari e familiari. L’obiettivo ultimo è quello di facilitare le persone con disabilità a formulare e discutere il loro legittimo desiderio di avere una vita sessuale. Avremo relazioni da parte del mondo scientifico, medico, socio-sanitario, giuridico e dell’associazionismo, per tematizzare e discutere la questione in un contesto neutro, non troppo personale e privo dell’imbarazzo che spesso ostacola una discussione della tematica. Spesso chi si avvicina ai disabili lo fa con un atteggiamento di giudizio o di compassione, e forse per questo un disabile omosessuale ha ancora più difficoltà ad uscire fuori».
Il Pride che si svolgerà in Toscana il prossimo mese di giugno, avrà una attenzione particolare alle persone con diversa abilità: tutti gli eventi si svolgeranno in locali accessibili, e sarà disponibile un servizio di interpretariato per i non udenti che ne faranno richiesta.
di Mario Cirrito
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.