Tàr, la recensione. Cate Blanchett è un monumentale mostro chiamato Maestro

L'attrice pronta a vincere il suo 3° Oscar e la sua 2a Coppa Volpi.

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Tàr, la recensione. Cate Blanchett è un monumentale mostro chiamato Maestro - Tar - Gay.it
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Un film pensato, scritto e prodotto in funzione di un’unica artista. Cate Blanchett, protagonista indiscussa di Tàr, 3° lungometraggio in 21 anni di carriera dell’americano Todd Field, nel 2001 esploso con In the Bedroom. In concorso alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia, Tàr è un film interamente ambientato nel mondo internazionale della musica classica. Blanchett interpreta Lydia Tàr, prima donna della storia a divenire direttrice di una delle più importanti orchestre tedesche. In corsa per il Queer Lion, Tàr è un’opera prolissa e straniante, con dialoghi infiniti impregnati di amore per la musica, in cui la venerata Lydia è costantemente al centro della scena.

Una donna dall’intelligenza superiore e dall’orecchio assoluto, dichiaratamente lesbica ed evidentemente incapace di sottrarsi all’esercizio del proprio potere su giovani studentesse e collaboratrici. Arrogante, egoriferita, dispotica, distruttiva e cronica bugiarda, vive di musica da mattina a sera, perché in grado di generare inarrivabili emozioni da un palco che è casa, pura dittatura con al comando la direttrice d’orchestra. Un mostro chiamato Maestro, una rockstar della musica classica tendente all’autodistruzione. Perché pur avendo tutto, pur avendo raggiunto l’apice di una carriera inarrivabile,  Lydia decide consapevolmente di sabotare la propria stessa esistenza.

Field, non solo produttore ma anche sceneggiatore e regista, ha confessato che Tàr si sarebbe potuto realizzare solo e soltanto con Cate Blanchett protagonista. Se quest’ultima avesse rifiutato la parte, il film non si sarebbe fatto. Il perché di un’affermazione tanto netta appare evidente dinanzi ai faticosi 170 minuti di pellicola.

Perché dietro l’eccessiva verbosità che appesantisce l’intera narrazione c’è una Blanchett semplicemente monumentale, pronta a vincere il suo 3° Oscar e la sua 2a Coppa Volpi.  L’attrice si è perfettamente calata negli abiti di questo maestro d’orchestra tanto fascinante e conturbante quanto insostenibile, dando credibilità ad un personaggio che trasuda vanità e immodestia. In una scena chiave ad inizio film Tàr discute animosamente con uno studente non-binario, che ammette di non amare Johann Sebastian Bach perché distante dalla sua identità sessuale, con 20 figli avuti dai due matrimoni. Nasce un acceso scontro verbale sull’insensatezza del giudicare la vita privata di un’artista in relazione alla sua arte, con il giovane che ha il coraggio di rinfacciare alla professoressa quello che nessun’altro riesce a dirle in quasi 3 ore di pellicola. “Lei è una stronza”.

Lentamente, e apparentemente inspiegabilmente, Tàr inizia a prendere decisioni assurde, che finiranno immancabilmente per farla deragliare, fino a farle perdere il controllo. Critico nei confronti di una società giudicante, schiava della gogna social e incapace di andare oltre la falsa e pudica morale, il film di Field si prende tutto il suo tempo per delineare le mille sfaccettature di una protagonista semplicemente indifendibile, caratterialmente parlando respingente, falsa paladina femminista. L’abuso dell’apparente nulla quotidiano per costruire un’evoluzione impietosa, e tremendamente umana, di una donna potente e ambiziosa, sfuggita al controllo di quel potere che l’ha accecata, distruggendo la propria e la vita altrui.

Affiancata da Noémie Merlant, Nina Hoss, dall’esordiente e reale musicista Sophie Kauer, Julian Glover, Allan Corduner e Mark Strong, l’ipnotica Blanchett divora il film, in grado di maturare e crescere ore e ore dopo la visione, trainato da una presenza tanto ingombrante quanto salvifica, perché credibilmente in parte e spaventosamente in grado di tenere a galla impefezioni e perplessità di scrittura. Tàr è Cate e Cate è Tàr, specchio di un mondo dove chiunque, anche il più idolatrato dei divi, può precipitare dalle stelle alle stalle a causa di un qualsivoglia scandalo. Ripartendo da zero, pur di continuare a vivere d’arte, a vivere e basta, perché senza arte non ci sarebbe alcun tipo di vita.

Voto: 7,5

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