Il tribunale di Trapani ha riconosciuto il diritto di cambiare nome e identità di genere all’anagrafe senza alcun intervento chirurgico effettuato o programmato e senza alcuna terapia ormonale ad Emanuela, 53enne di Erice. Il tribunale si è rifatto ad una sentenza della Corte di Cassazione del 2015, che consentì ad una donna transgender di legittimarsi come tale prima dell’operazione, all’epoca pianificata. In questo caso non prevista.
Intervistata da LaRepubblica, Emanuela ha confessato di aver sempre sentito “un universo femminile” dentro di sè, dall’età di 5 anni. “Perché quando si è transgender il bambino, o la bambina, percepisce la sua identità nell’immediato“.
20 anni fa Emanuela aveva iniziato il percorso di riassegnazione del genere per via ormonale e chirurgica, prima di fermare tutto. “Quando i medici mi spiegarono le conseguenze, vista l’alta invasività del trattamento, ho scelto di non farlo e di convivere in armonia con il mio corpo. Non avere l’organo sessuale femminile non compromette il modo in cui mi percepisco, le mie sembianze non offuscano la mia identità femminile“.
Tutto è cambiato grazie alla sentenza numero 15138 della Corte di Cassazione e all’incontro con l’avvocato Marcello Mione, che ha convinto Emanuela ad intraprendere la strada del tribunale.
“La società si evolve e così fa la giurisprudenza. Il principio espresso dalla Cassazione e a cui abbiamo fatto fede è che l’intervento chirurgico modificativo dei caratteri sessuali non incide sulla fondatezza della richiesta di rettifica anagrafica, con la conseguenza che, nei casi in cui l’identità di genere sia frutto di un processo individuale serio e univoco, l’organo sessuale primario non determina necessariamente la percezione di sé“, ha commentato l’avvocato.
Emanuela ha dovuto cedere ad una perizia d’ufficio, dicendosi a tratti “umiliata: come se una persona che si definisce “etero” venisse sottoposta a una perizia psichiatrica per verificare che lo è”, ma oggi è chiaramente felice, raggiante, per il risultato raggiunto.
“Spero che la mia esperienza possa essere di aiuto per altre persone che, nelle mie stesse condizioni, temono di rivolgersi alla legge affinché venga loro riconosciuto il diritto di essere sé stesse. Noi transgender siamo viste come alieni, quando basterebbe conoscerci per capire che siamo persone come tutte le altre“.
La sentenza di Trapani ha scatenato la destra di governo. Lucio Malan, presidente del gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia al Senato, ha twittato: “Tribunale di Trapani: un uomo sarà registrato come donna e si chiamerà Emanuela. Senza alcuna legge che lo consenta. Secondo la Costituzione, articolo 101, i giudici sono soggetti alla legge”.
Peccato che sia stata proprio la Corte Costituzionale, sia nel 2015 che nel 2017, a ribadire come “per ottenere la rettificazione del sesso non è obbligatorio l’intervento chirurgico demolitorio o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari”. In sostanza, se la persona interessata ha già assunto l’identità di genere nella quale si riconosce potrà fare richiesta di modifica dei propri dati anagrafici anche senza aver effettuato l’intervento chirurgico.
In Italia la riassegnazione di sesso e genere anagrafico è consentita dalla Legge 14 aprile 1982, n. 164: “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso“. All’epoca fu una legge all’avanguardia, tra le prime al mondo, mentre oggi appare obsoleta e non al passo con i tempi.
In Spagna la legge sull’autodeterminazione di genere è stata approvata lo scorso febbraio. Tutti i cittadini al di sopra dei 16 anni possono cambiare legalmente il proprio genere anagrafico senza autorizzazione giudiziaria o referti medici, attraverso una doppia semplice dichiarazione amministrativa a distanza di 3 mesi. Per i ragazzi dai 14 ai 16 anni serve il consenso dei genitori mentre tra i 12 e i 14 anni è necessaria anche l’autorizzazione di un giudice. Al di sotto dei 12 anni, non è possibile richiedere alcun cambio anagrafico, se non tramite cosiddetta carriera alias nelle scuole.
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