Turchia, Mabel Matiz canta una canzone “gay”. Prima censurato, poi minacciato di annientamento.

Volano minacce su Twitter e da parte delle autorità contro la comunità LGBTQ+. Nel frattempo, Draghi dialoga con Erdogan

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Mabel Matiz Turchia Gay.it
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Mabel Matiz, nome d’arte di Fatih Karaca, è uno dei cantautori più amati in Turchia. Con i suoi singoli ha raggiunto migliaia di visualizzazioni su YouTube e più di una volta ha scalato le classifiche del Paese. Tutto questo però sembra essere cambiato nel giro di poche ore, proprio l’ultimo giorno di Pride Month.

Per celebrare la comunità LGBTQ+, Matiz ha rilasciato un nuovo singolo dal titolo Karakol, “Police Station”, al cui centro vi è una storia omoerotica tra due uomini. I due protagonisti del video musicale sono ripresi in momenti di affettuosa intimità, mentre l’intera composizione è costellata di riferimenti alla storia LGBTQ+ e alla cultura queer. Compaiono colori arcobaleno, ma anche abiti colorati, gigli – che rappresentano l’attrazione tra due donne – e diverse scene in cui i due tengono in mano dei garofani rossi. Secondo alcune tradizioni, i papillon e le cravatte rosse a inizio XX secolo erano simbolo di omosessualità e venivano usati dagli uomini per lanciare dei segnali invisibili agli occhi dei più.

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Mabel Matiz, nome d’arte di Fatih Karaca, è finito nel mirino di minacce conservatrici

Il video è subito entrato in tendenza e nell’arco di pochi giorni ha superato le tre milioni di visualizzazioni in rete. Nonostante l’ammirazione dei suoi fan, una grande parte del pubblico turco non è rimasta piacevolmente colpita dalla canzone. Il cantante trentaseienne è stato preso di mira sui social, soprattutto su Twitter, dove è partito l’hashtag #HaddiniBilMabelMatiz (#StaialtuopostoMabelMatiz).

L’omosessualità è sempre stata legale in Turchia, ma alcune leggi del codice penale che fanno riferimento all’esibizionismo pubblico e ai reati contro la pubblica morale vengono spesso utilizzate per attaccare la comunità LGBTQ+. In generale, nonostante l’omosessualità non sia criminalizzata, nel Paese si registra un alto tasso di omofobia, promossa anche dal Capo dello Stato Erdogan.

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Mabel Matiz nel video di Karakol

Quello che si è verificato su Twitter è un vero e proprio linciaggio mediatico da parte degli utenti contro il giovane cantante. Alcuni sono arrivati addirittura a minacciare di annientare la comunità LGBTQ+, chiamando chi ne fa parte i «figli del popolo di Lut», che nelle sacre scritture era il popolo che commetteva atti peccaminosi, inclusa l’omosessualità.

 

O ancora sono state condivise grafiche – che già circolavano in Turchia sottoforma di cartelloni pubblicitari – in cui una pioggia arcobaleno viene fermata da un ombrello che ripara la cosiddetta “famiglia tradizionale”, accompagnata dalla scritta “Solo l’Islam può salvare la tua famiglia”.

 

Altri utenti si sono accaniti solo nei confronti dell’artista, accusandolo di voler distruggere i valori morali e le tradizioni della Turchia. Ci è voluto poco perché tutto questo rumore attirasse l’attenzione delle autorità. Secondo alcune fonti il RTÜK, il Consiglio superiore della radio e della televisione, avrebbe contattato le principali emittenti televisive e radiofoniche, minacciando pesanti conseguenze se Karakol fosse stata mandato in onda.

Ironia della sorte, la notizia della censura di una canzone a sfondo LGBTQ+ da parte delle autorità turche arriva all’indomani delle dichiarazioni del nostro Primo Ministro Mario Draghi, impegnato negli scorsi giorni in un viaggio diplomatico proprio in Turchia. Durante la conferenza stampa ha parlato positivamente del rapporto tra i due Paesi, ribadendo l’amicizia e la cooperazione che li legano, e definendo la Turchia come una Nazione partner e alleata del nostro Paese.

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Il Presidente turco Erdogan, definito dal Premier Mario Draghi un amico e alleato

Senza soffermarsi troppo sul sottile velo di ipocrisia del Premier, che solo lo scorso anno aveva definito Erdogan “un dittatore con il quale è necessario cooperare”, la riabilitazione della Turchia come “amica” non è di certo un buon segnale da lanciare alla comunità LGBTQ+ italiana da parte del governo, che ancora pende dalle labbra del Parlamento per quanto riguarda l’approvazione del DDL Zan. Così, a colpo d’occhio, ci sono Paesi migliori da considerare amici, magari quelli che non usano la censura per silenziare le voci queer. Davvero è questo il tipo di governo che vogliamo appoggiare?

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