È ormai risaputa l’intolleranza dei Paesi dell’Est Europa di fronte ai diritti della comunità LGBT+.
Soprattutto l’Ungheria è comparsa più volte sui giornali non solo per la propria chiusura di fronte ai richiedenti asilo, ma anche per aver cancellato le serate dedicate al musical di Billy Elliot (accusato di far diventare gay i ragazzi che assistono alle sue repliche). Questa censura, insieme ad una legge che punisce quelle ONG che tentano di aiutare i migranti, fa dell’Ungheria uno dei Paesi politicamente più a destra dell’Europa.
Ma se il governo di Viktor Orban gode il sostegno della popolazione, tutt’altro si può dire del sistema giudiziario che, nonostante tutto, cerca di rimanere indipendente e aperto ai valori democratici. Ne è un esempio la sentenza della Corte costituzionale, che si è pronunciata a fine giugno con un’importante decisione. Questa, sicuramente, segnerà un passo in avanti decisivo per la comunità LGBT+.
Sì ai diritti trans: l’Ungheria costretta dalla Corte a provvedere
La Corte costituzionale ha dovuto affrontare un caso spinoso, scoppiato nel 2015, nei confronti di una persona trans. Un ragazzo transessuale FtM (ovvero in fase di terapia per diventare uomo) di origine iraniana e con lo status di richiedente asilo, si era visto rifiutare il riconoscimento della sua identità sessuale. Il documento che attestava il cambio di genere era di competenza del Paese di origine, dal quale era fuggito.
Il ragazzo iraniano ha di fatto perso il ricorso presentato, ma la Corte costituzionale ha fatto notare l’assenza di una norma che permetta il riconoscimento di genere e la modifica del nome dopo un’operazione per il cambio di sesso. I giudici, quindi, hanno individuato un vuoto legislativo incostituzionale.
Con questa decisione, la Corte ha dato tempo al governo conservatore fino al 31 dicembre 2018, per discutere e approvare una legge riguardante i diritti delle persone transessuali. Siano esse richiedenti asilo o di origine ungherese.
Credits: Nlcafe
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