Le persone che vivono con Hiv in Italia sono circa 130.000, ma a causa dello stigma e della discriminazione nei loro confronti, i più continuano a vivere l’infezione in silenzio e nell’ombra. Sono tanti gli ambiti soggetti a discriminazione: il mondo del lavoro, il pregiudizio nella coabitazione fino allo stigma sessuale.
Per dare voce alle persone che vivono con Hiv ho intervistato tre persone con delle storie molto diverse: Miki, Danilo e Riccardo.
Danilo Caiano, 30 anni di Roma.
Vive con Hiv da 7 anni.
Attore regista e autore di teatro.
Il racconto di Danilo
Non ne sapevo molto dell’Hiv. Quando avevo 18 anni ebbi una relazione con un partner Hiv positivo. Lui era tranquillo e risolto rispetto al vivere con Hiv, tanto che mi accompagnò a parlare con la sua infettivologa. Sono stato fortunato: lui era una bella persona e mi aveva spiegato tutto.
Proprio per questo motivo facevo il test molto spesso, ogni 3/6 mesi.
Prima di questa relazione, le uniche informazioni che avevo venivano da qualche film e da una formazione che avevo seguito in Arcigay quando stavo ancora Napoli.
Dal punto di vista più emotivo, l’Hiv era per me quello de Le fate ignoranti e dello spauracchio di mamma quando ero bambino di non toccare le “siringhe dei drogati” al parchetto.
Nel 2015, tra un test e l’altro, mi fu diagnosticata la sifilide. Sapevo che c’era stata un’esposizione anche all’Hiv, ma erano passati troppi pochi giorni dall’ultimo rapporto e non era ancora terminato il periodo finestra del test per l’Hiv. Sapevo che sarebbe potuto essere positivo anche questo. E così fu.
Dal punto di vista emotivo ero molto tranquillo, nel senso che sapevo dell’esistenza delle terapie e conoscevo anche U=U, Undetectable equals Untrasmittable, ovvero che grazie all’efficacia del trattamento, una persona Hiv positiva con carica virale non rilevabile non può trasmettere il virus attraverso i rapporti sessuali.
La cosa che mi spaventava di più ero lo stigma, soprattutto nel contesto famigliare e degli affetti più stretti. Pensavo che la cosa migliore sarebbe stata dirlo il meno possibile, tenerlo tutto per me. Questa fase in realtà durò molto poco, anche perché era molto difficile tenermi tutto dentro per come sono fatto.
I primi con il quale feci coming out sono stati gli amici più stretti. Poi decisi di dirlo anche alla mia famiglia e ai miei partner sessuali.
Con questi ultimi all’inizio non fu facilissimo, probabilmente anche per il mio pessimo tempismo. Subito prima di fare sesso, me ne uscivo con: “comunque ti devo dire una cosa: ho l’Hiv”. In questo modo aggiungevo un livello di pesantezza enorme.
Nel tempo ho cambiato il metodo e ho cercato di normalizzare sempre di più il fatto che io avevo l’Hiv. Più io ero sereno nell’affrontare la questione, più anche gli altri erano sereni.
Ora è diventata una cosa così normale che non ci penso nemmeno più.
Normalizzando la mia vita, anche lo stigma alla fine si è attenuato. Credo che ora, con l’arrivo della terapia long acting, ci sarà modo di liberarci ancora di più dal peso dell’infezione e di quello che comporta dal punto di vista sociale. Penso inoltre che questi tipo di trattamento possa aiutare le persone con Hiv a rimanere più aderenti alla terapia, anche per quelle persone come me che hanno uno stile di vita molto intenso e che a volte faticano ad assumere la terapia quotidianamente.
Nel 2020 ho deciso di fare coming out sierologico pubblico in occasione di un evento di sensibilizzazione. Mi ha aiutato moltissimo vedere che c’erano altre persone che parlavano tranquillamente del loro stato sierologico in pubblico.
Da quel momento, anche nelle App di dating ho scritto pubblicamente che sono Hiv positivo undetectable. Sono tante le persone che mi fanno domande per avere informazioni aggiuntive riguardo la salute sessuale o su dove andare per fare un test.
Successivamente è cominciata la mia avventura al fianco di Plus Roma. Questa realtà era molto affine a me, e mi sono sentito subito accolto.
Il fondatore, Giulio Maria Corbelli, è stata la prima persona pubblica Hiv positiva che ho conosciuto. Insieme ad Angela Infante e con il patrocinio di Plus, costruii uno spettacolo che parlava di Hiv dal nome “Gioco Virale”: uno spettacolo leggero indirizzato alle persone più giovani.
Penso che le nuove generazioni non siano molto informate, anche perché dal punto di vista mediatico c’è stato un buco di attenzione generale: ora con il fatto che il virus è meno letale è cambiato il livello di priorità. Qualche persona curiosa che cerca informazioni in rete c’è, ma a livello generale mi pare che ci sia molta più disinformazione.
La cosa positiva è però che le persone giovani sembrano essere molto più disposte a informarsi prima di giudicare o emettere sentenze, un atteggiamento di maggiore apertura e accoglienza. Nelle persone adulte spesso mi sono imbattuto in una sensazione di repulsione, probabilmente a causa del trauma conseguente agli anni più bui dell’epidemia.
A una persona che ha appena ricevuto una diagnosi di Hiv oggi direi di non avere paura: l’Hiv all’inizio fa paura, il peso dello stigma fa paura. Ma la medicina e le persone che ti vogliono davvero bene, non ti volteranno mai le spalle. Se tengono a te, saranno sempre con te. Il virus fa paura più nella teoria che nella pratica, in fin dei conti non fa altro che creare delle nuove abitudini. U=U è il nostro migliore alleato, spieghiamolo a tutti, e se qualcuno proprio non ci vuole credere, sti cazzi, peggio per lui.
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