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Corpi non conformi e sport a Venezia 2023: come Julia Fuhr Man (ri)scrive la storia

Nel suo film Life Is Not a Competion, but I'm Winning la regista queer racconta il senso di comunità e rivincita dell3 atlet3 trans.

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Life Is Not a Competition, But I’m Winning
Life Is Not a Competition, But I’m Winning
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La 80esima Mostra del Cinema di Venezia torna anche quest’anno, e le voci LGBTQIA+ non mancano neanche quest’anno. Chi si aggiudicherà il Queer Lion?

Tra il ‘Maestro’ gay di Bradley Cooper e le follie di Lui Besson, fa il capolino anche Julia Fuhr Man, filmaker queer e transfemminista, che con il suo Life Is Not a Competition, but I’m Winning racconta di corpi queer sul campo sportivo.

Discostandosi dagli stilemi del documentario tradizionale, la regista (ri)scrive il mondo sportivo dal punto di vista dei campioni, ma di chi non può partecipare alla gara.

La valanga di odio verso le atlete trans (recentemente alimentato anche dalla tennista Martina Navratilova) – che solo nel 2022 ha coinvolto chiunque, dalla nuotatrice Lia Thomas al regolamento di Fifa e World Athletics – sfugge alla narrazione vittimista delle prime pagine, e passa la parola allə stessə atletə.

A partire dalla riappropriazione degli spazi: l’Olimpico di Atene, stadio costruito esclusivamente per “eroi maschi”, e l’Olympiastadon di Berlino, opera dei nazisti in occasione delle Olimpiadi del 1936.

Il risultato è un docu-fiction fatto di esperienze diverse e materiale storico, che oscilla tra passato e presente osservandosi attraverso un’altra lente: “Volevamo, però, anche rompere la narrazione dominante, esplorarne le crepe e i margini, oltre che mostrare come queste grandi emozioni vengono costruite” spiega la regista, in un’intervista per Sentieri Selvaggi, insieme a Riccardo Baiocco.

Come racconta insieme all’attrice Annet Negesa (atleta intersex dalla carriera stroncata dopo un intervento non richiesto per eliminare la sua naturale dose di testosterone), il focus non è tanto vincere, quanto creare un senso di comunità tra un gruppo di persone, unite dall’amore per lo sport e la propria queerness.

La situazione dellə atletə trans non è delle migliori, ma per Fuhr Man piano piano qualcosa si sta costruendo: “A piccoli passi” dice la regista “La strada è ancora lunga, ma è certo che in futuro migliorerà, l’importante è non mollare mai”

Attraverso numerosi scambi e riflessioni, presso i collettivi transfemministi di cui fa parte, Julia Fuhr Man si è chiesta: come cambiare la narrazione queer dall’interno? Alle storie edificanti e ovattate, la regista preferisce la complessità dell’essere umano, fatto di contraddizioni e sfumature non collocabili in una narrazione lineare e sensazionalistica.

Non mi piacciono le storie normali” dice Fuhr Man “Mi piacciono storie strane, frammentate. Preferisco narrare la circolarità, la ricerca continua di un’identità che non è mai fissata. Con questo non credo che un film debba essere ermetico, iper-intellettuale e artefatto, ma penso sia molto importante differenziarsi”.

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