Le elezioni del 2022 hanno aperto uno dei capitoli più ironici e contraddittori della politica italiana: la prima presidente del consiglio donna è a capo di uno dei governi più ostili al genere femminile mai saliti al potere nel nostro paese.
No, la copertina di Libero non parla di un coming out ufficiale. Il quotidiano – sotto la guida di Mario Sechi, ex portavoce della premier – ha scelto, come prevedibile, di rappresentare “Il Presidente” come un ennesimo simbolo di potere maschile.
Dietro alle supercazzole contenute nell’editoriale per giustificare ancora una volta il maschilismo più becero condito da una buona dose di binarismo e doppio standard, si nasconde un’insidia ben più profonda: per la destra conservatrice, il potere, anche quando nelle mani di una donna, deve essere esercitato con ethos maschile.
L’ossimoro di una figura femminile lontana da fornelli e prole diventa ammissibile solo se essa ripudia la propria identità di genere.
Ma se c’è una cosa che Libero ha azzeccato – e che lo rende meno ipocrita di quando pubblicava questa copertina immediatamente dopo la vittoria di Fratelli d’Italia – è che l’ascesa di Giorgia Meloni non è una conquista femminista.
Questo tipo di narrazione – una riuscitissima strategia mediatica camaleontica tanto cara a radfem e alle “vecchie femministe” volta a manipolare l’opinione pubblica – si è rapidamente dissolta di fronte alle misure e agli orientamenti adottati dal governo.
Dalla fine del 2022, la sua azione politica non ha fatto altro che produrre effetti deleteri per i diritti e le libertà delle donne, dall’aumento dell’IVA sui prodotti per l’igiene femminile, alle proposte legislative antiabortiste, lanciando qua e là sottili ma inquietanti retoriche tradizionaliste che sembrano ignorare le vere vittorie femministe che hanno permesso alle varie Roccella, Mennuni e Meloni di ricoprire le proprie cariche.
Nella loro battaglia donchisciottiana contro la fantomatica teoria del gender, le donne del governo Meloni preferiscono attaccare un nemico ideologico e perpetrare gli stessi bias di quella destra che le lascia operare solo in un perimetro ben definito, che concede loro abbastanza potere da poter opprimere le altre donne, piuttosto che indignarsi con chi vede l’identità femminile come qualcosa da nascondere, reprimere o svalutare, eccetto quando si tratta di maternità o cura familiare.
La figura di Meloni non è altro che un paradigma di come tra le fila della destra ultraconservatrice il potere venga alla fine sempre manipolato e ricondotto entro comodi schemi patriarcali, gli stessi al di là di chi tiene le redini.
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