“Rosa Cenere”, la mostra bolognese per ricordare l’Omocausto

Si inaugura questa sera alle 21 presso il Cassero l'esposizione curata da Jacopo Camagni in cui diciannove illustratori raccontano per immagini nove deportati gay e due lesbiche nei campi nazisti.

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“Io sono la prova vivente che Hitler non ha vinto. Ne sono consapevole ogni giorno. Se non avessi raccontato la mia storia, chi conoscerebbe la verità?”. Sono le preziose parole di Friedrich-Paul von Groszheim (1906-2003), uno dei pochi sopravvissuti all’Omocausto, ovvero la deportazione nazista dei gay “marchiati” con l’infausto triangolo rosa mentre alle lesbiche veniva affibbiato quello nero destinato agli “antisociali” (difficile fare un computo: gli omosessuali uccisi durante la Shoah potrebbero essere stati 600.000). Von Groszheim fu internato per dieci mesi, costretto a indossare un bracciale con ben visibile la lettera “A” dell’insulto antigay “Arscheficker” (ne parla il documentario tedesco del 1991 We Were Marked With a Big A – “Siamo stati marchiati con una grande ‘A'” – diretto da Joseph Weishaupt e Elke Jeanron).

La storia dimenticata dell’Omocausto è al centro dell’interessante mostra Rosa cenere curata da Jacopo Camagni e allestita nel circolo Arcigay ‘Il Cassero’ di Bologna che la produce in collaborazione con Renbooks. Sarà inaugurata questa sera alle ore 21 alla presenza di Lucy, transessuale sopravvissuta ai campi di concentramento.
Diciannove giovani artisti, attivi nel campo dell’illustrazione e del fumetto, raccontano undici storie di gay e lesbiche perseguitati durante il nazifascismo. “Il progetto è nato col gruppo di volontari del Cassero – ci spiega Camagni -. Abbiamo avuto l’idea collettiva di fare qualcosa per la Giornata della Memoria. Io tra l’altro lavoro per la Marvel in America e ho fatto questa proposta coinvolgendo artisti gay italiani che stimo. Non mi risulta che una mostra simile sia già stata allestita altrove. In Italia era stata pubblicata la graphic novel In Italia sono tutti maschi (Kappa Edizioni) di Luca De Santis e Sara Colaone sul confino degli omosessuali durante il ventennio fascista”

“Giuseppe Seminario si è occupato della ricerca storica nell’archivio del Cassero e in quelli online – continua Camagni -. C’erano paletti fissi da rispettare: la tematica, il bianco e nero, l’elemento del triangolo e una tonalità di rosa Pantone specifica. Con Michele Soma ho scelto l’attore Heinz Dörmer perché mi ha colpito la sua biografia. Fondò un gruppo di teatro amatoriale chiamato ‘La compagnia dei lupi’. Mi intrigava l’immagine dei lupi usata come simbolo legato ai cattivi nazisti, al branco e alla famiglia che tradisce la singola persona. L’allestimento consiste in diciassette illustrazioni formato A3 con la biografia della persona, il nominativo dell’illustratore e la motivazione per cui ha scelto la sua storia. Le illuminazioni esterne saranno rosa e ci sarà pure un cocktail sempre rosa. La mostra è stata già richiesta da Arcigay Roma e Ferrara. Persino un’associazione di Tokyo è interessata ad averla”.

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Tra le storie dimenticate, alcune hanno fatto da apripista alle prime ricerche sugli omosessuali deportati: Flavia Biondi e Davide Mantovani sono partiti dalla tormentata vicenda dello scrittore francese Pierre Seel (1923-2005), schedato come omosessuale dopo aver denunciato il furto di un orologio in un luogo di battuage. Assistì alla tortura e uccisione del suo fidanzato in un lager. Lo stesso Seel racconta la propria esperienza nel documentario Paragraph 175 di Rob Epstein e Jeffrey Friedman e un episodio della sua vita è stato ricostruito nel film sperimentale ‘Il rosa nudo’ di Giovanni Coda premiato a Seattle. Sempre nell’opera degli autori americani, si raccontano le tragiche vicende di Albrecht Becker, produttore, fotografo, attore e pioniere della body art e delle pratiche BDSM – illustrato nella mostra ‘Rosa cenere’ da Andrea Madalena – e dell’infermiere tedesco Karl Gorath, a cui si è ispirato il torinese Mattia Surroz. Gorath fu denunciato a ventisei anni da un amante geloso.

Il cantante d’opera Kurt Von Ruffin è raccontato graficamente da Marco B. Bucci mentre Annette Eick, costretta alla fuga in Inghilterra per evitare la reclusione ad Auschwitz, è la protagonista del lavoro di Vinnie Palombino e Isabel Pilo. Una delle poche donne lesbiche di cui si hanno testimoniane oltre alla Eick è la ragazza di origini ebraiche Henny Schermann, internata nel 1940 nel campo di concentramento femminile di Ravensbrück come ‘lesbica compulsiva’, raccontata per immagini da Giovanni Pota e Mabel Morri.
Sono invece partiti dalla storia di Heinz Heger, primo testimone dell’Omocausto, deportato nei campi di concentramento di Sachsenhuasen e Flossenbürg, gli illustratori Massimo Basili e Sebastian Dell’Aria. Heger pubblicò una delle poche testimonianze sull’argomento, ‘Gli uomini con il triangolo rosa’, edito in Italia da Sonda nel 1991. Friedrich-Paul von Groszheim, di cui abbiamo parlato prima, è rappresentato dal tratto di Giulio Macaione mentre Francesco Legramandi ha scelto Paul Gerhard Vogel, condannato per il ferale Paragrafo 175 a sette anni di lavori forzati nel campo di concentramento di Emsland. Wally Rainbow, Luca Vanzella e Roberto Ruager hanno invece costruito le loro tavole ispirandosi alle vicende di Rudolf Brazda, deportato a Buchenwald.

La mostra ‘Rosa Cenere’ rimarrà aperta fino al 31 gennaio con orario 10-19. Il catalogo è realizzato grazie alla collaborazione della casa editrice Renbooks di Bologna.

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