Un fulmine a ciel sereno. Nicola Zingaretti si è dimesso da segretario del Partito Democratico, a due anni dalla sua elezione. L’annuncio via social, causa “stillicidio” interno. “Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni“, ha scritto il presidente della regione Lazio.
Sono stato eletto proprio due anni fa. Abbiamo salvato il Pd e ora ce l’ho messa tutta per spingere il gruppo dirigente verso una fase nuova. Ho chiesto franchezza, collaborazione e solidarietà per fare subito un congresso politico sull’Italia, le nostre idee, la nostra visione. Dovremmo discutere di come sostenere il Governo Draghi, una sfida positiva che la buona politica deve cogliere.
Non è bastato. Anzi, mi ha colpito invece il rilancio di attacchi anche di chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte fondamentali che abbiamo compiuto. Non ci si ascolta più e si fanno le caricature delle posizioni. Ma il Pd non può rimanere fermo, impantanato per mesi a causa in una guerriglia quotidiana. Questo, sì, ucciderebbe il Pd. Visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Nelle prossime ore scriverò alla Presidente del partito per dimettermi formalmente. L’Assemblea Nazionale farà le scelte più opportune e utili. Io ho fatto la mia parte, spero che ora il Pd torni a parlare dei problemi del Paese e a impegnarsi per risolverli. A tutte e tutti, militanti, iscritti ed elettori un immenso abbraccio e grazie.
Parole che pesano come un macigno, quelle di Zingaretti, da segretario Pd sempre in prima linea nel difendere la legge contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo. Da sempre vicinissimo alla comunità LGBT, Zingaretti chiese per la prima volta e apertamente l’approvazione del DDL Zan nel maggio del 2019, appena eletto. “Noi ci siamo. Votiamola in Parlamento, le parole di oggi devono diventare fatti”. A fine 2019 tornò sull’argomento, promettendo “battaglia, è importante, da approvare in tempi non biblici“. Nell’agosto del 2020 il nuovo affondo (“troppi diritti vengono calpestati, episodi di cronaca di una violenza inaccettabile”), per poi ripetersi un mese dopo causa dramma di Caivano. Passano poche settimane e Zingaretti rilancia (“Approvare la legge, serve alle ragazze e ai ragazzi, alle famiglie, all’Italia”), per poi ribadirlo nel mese di novembre del 2020 (“Ora via all’iter in Senato, approvazione finale in tempi rapidi”). Un mese fa l’ennesimo appello (“Ecco perché bisogna approvare la legge contro l’omotransfobia”), fino all’ultima richiesta di 10 giorni fa (“Approviamo la legge contro l’omotransfobia”).
Otto appelli pubblici in due anni, con una legge approvata alla Camera ma in attesa di calendarizzazione al Senato, dinanzi ad una maggioranza spaccata tra sostenitori e contrari. Chiunque prenderà il posto di Nicola Zingaretti non dovrà nè potrà dimenticare per strada la fondamentale battaglia sui diritti, dall’ex segretario sembre combattuta a carte scoperte.
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