Nonostante gli sforzi delle organizzazioni e i progressi finora compiuti, c’è ancora un lungo cammino da percorrere per rendere lo spirito agonistico accessibile a tutt*.
In molti ricorderanno la storia di Caster Semenya, atleta olimpica intersex esclusa e discriminata perché troppo “mascolina”.
Semenya era stata costretta a sospendere la propria carriera agonistica per poi essere reintegrata a condizione di sottoporsi a una terapia che le permettesse di abbassare i propri livelli naturali di testosterone.
Oggi, la campionessa sudafricana ha ottenuto un importante riconoscimento nella sua battaglia contro le regole discriminatorie che impongono alle atlete con alti livelli naturali di testosterone di ridurli artificialmente per competere internazionalmente, grazie a una sentenza storica emessa dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.
Ma andiamo alle origini di questa vicenda.
Caster Semenya: un talento naturale stroncato dalla discriminazione
Caster Semenya è una straordinaria atleta sudafricana, famosa per le sue imprese nei 800 metri piani alle Olimpiadi di Londra 2012 e Rio de Janeiro 2016, dove ha conquistato l’oro. Tuttavia, nonostante il suo talento innegabile e il suo successo indiscusso, la sua carriera è stata oscurata più volte da controversie e discriminazioni.
Prima, l’accusa di doping, messa subito a tacere da prove inconfutabili. Poi, la batosta: a partire dal 2019, a Semenya è stato impedito di competere nella sua specialità a causa delle restrizioni sul testosterone.
Restrizioni introdotte dall’International Association of Athletics Federations (IAAF), ora World Athletics, con l’obiettivo di “creare condizioni di competizione più equilibrate tra gli atleti”.
Secondo il regolamento, le donne con livelli naturalmente elevati di testosterone devono sottoporsi a trattamenti ad hoc per ridurlo al di sotto di una certa soglia.
La situazione di Semenya ha sollevato un acceso dibattito sulle questioni di genere, identità e uguaglianza nello sport.
Molti sostenitori di Semenya, nonché difensori dei diritti umani e delle pari opportunità nello sport, hanno criticato queste restrizioni, sostenendo che discriminino l* atlet* femminili ed intersex che non si conformano agli stereotipi tradizionali di femminilità.
Chiudendo la strada anche all* atlet* trans, già peraltro escluse a priori dalle competizioni all’inizio di quest’anno.
Il baluardo del fair play a livello agonistico è spesso un veicolo di discriminazione – sia per l* atlet* non conformi agli standard imposti per il genere assegnato che per quell* trans.
Ad oggi, i regolamenti per diverse discipline sportive faticano a rimanere al passo con il progresso sociale, nonostante gli appelli e le raccomandazioni dell* attivist*.
Nonostante le sfide e le battaglie legali affrontate, Semenya ha dimostrato una straordinaria determinazione, lottando per il suo diritto di competere nella sua specialità senza dover modificare il proprio corpo.
La sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo
Negli scorsi giorni, la Corte europea per i diritti dell’uomo ha finalmente riconosciuto che Caster Semenya è stata oggetto di discriminazione a causa delle restrizioni imposte sul suo livello di testosterone.
La Corte ha inoltre evidenziato come all’atleta sia stata negata l’opportunità di ricorso presso altre istituzioni come la Corte di Arbitrato per lo Sport e la Corte Suprema Svizzera.
È importante notare che al momento non è ancora chiaro se la sentenza avrà un impatto immediato sugli attuali regolamenti dell’atletica e se Caster Semenya sarà autorizzata a partecipare ai Giochi olimpici di Parigi nel 2024.
Tuttavia, la decisione della Corte europea per i diritti dell’uomo rappresenta un precedente di grande importanza e potrebbe spingere la massima autorità sportiva a rivedere i regolamenti che limitano la partecipazione delle persone non conformi agli standard del genere assegnato.
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