“Devo salutare la mia mamma” dice il cantautore diciottenne, correndo tra le braccia di sua madre Paola.
Mamma Paola, insieme al padre Giovanni e la fidanzata Giulia, sono arrivati al lido sanremese il terzo giorno del festival, per supportare l’enfant prodige e restargli accanto durante tutto il soggiorno. “Il nostro ruolo? Essere di supporto” dice sua madre “È questo il mestiere di un genitore“.
Blanco si rotola sul palco dell’Ariston dopo la sua vittoria
Con la famiglia al lido, Blanco porta a Sanremo un pezzo di Calvagese.
Tiene con sé il paesino dov’è cresciuto, per non scordarsi chi è anche su un palco così importante.
“Calvagese è ovunque!” grida mentre abbraccia Lorenzo, migliore amico storico, anche lui in trasferta per supportarrlo.
Scalmanato e irriverente, il cantautore ha approcciato il palco con la sicurezza di una trottola impazzita, sempre troppo divertito per aver paura dell’Ariston.
Eppure, sua madre Paola lo conosce un po’ meglio dei riflettori, percependo insicurezze e fragilità invisibili all’occhio esterno: “Sì, era un po’ preoccupato. Ma ha sempre mantenuto positività” racconta.
“Li mortacci tua” gli ha detto il padre subito dopo la vittoria, due parole che riassumono una vita di amorevole supporto e santa pazienza: “Quando ero piccolino li facevo dannare” dice Blanco in conferenza stampa “Ma adesso abbracciarli e vederli piangere è una soddisfazione incedibile“.
Quando parlano di lui, i genitori ricordano il piccolo Riccardo Fabbriconi, adolescente dalla verve ribelle ma una forte etica del lavoro, che correva nudo tra i boschi, giocava a calcio a Lumezzane, e oggi si rovescia il vino sul completo di Valentino. “È sempre stato votato al sacrificio” racconta Giovanni “Anche questo aiuta sulla strada verso il successo“.
Ogni scarrafone è bello a mamma sua, ma i genitori di Blanco sapevano sin da subito che “Brividi” aveva le carte in regola per farcela.
Sarà l’occhio di un genitore, ma anche un orecchio abituato a riconoscere una canzone che parla al cuore di tuttǝ: sin da piccolo, tra le mura di casa riecheggiavano le canzoni di Edoardo Vianello, Lucio Battisti, Gino Paoli e Modugno.
Non le prime references che potremmo immaginare per un adolescente del 2003, ma diventati modelli essenziali nella formazione del giovane cantautore (lo stesso Gino Paoli – uno che non si farebbe di certo problemi a dire che qualcosa gli fa schifo – si è complimentato con la loro versione di “Il cielo in una stanza” durante la serata delle cover).
Quella dei suoi genitori è stata un’educazione musicale ma ancor più sentimentale: un allenamento ad esprimere il lato più vulnerabile di sé, raccontare l’indicibile dentro una canzone pop, saper esorcizzare le insicurezze della crescita – anche sul palco più famoso d’Italia.
“Riccardo e Mahmood hanno avuto il coraggio di buttarsi in questa sfida” dice suo padre Giovanni “Hanno scritto qualcosa di bello e l’hanno condiviso”.
“Quando ero piccolino li facevo dannare. Ma adesso abbracciarli e vederli piangere è una soddisfazione incedibile”.
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