Blue Jean, recensione: essere prof. omosessuali ai tempi dell’incubo omofobo thatcheriano

Nel 1988 il Regno Unito mise al bando la comunità LGBTQ+. L'esordiente Georgia Oakley ha ridato forma al passato per denunciare l'oggi.

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Blue Jean, recensione: essere prof. omosessuali ai tempi dell'incubo omofobo thatcheriano - blue jean 1 - Gay.it

Poco più di 18 anni fa il Regno Unito salutava la tristemente celebre “sezione 28“, entrata in vigore il 24 maggio 1988 per volere di Margaret Thatcher. Una legge, quella firmata Lady di Ferro, che obbligava le autorità locali a “non promuovere intenzionalmente l’omosessualità o pubblicare materiale con l’intenzione di promuovere l’omosessualità” e/o “promuovere l’insegnamento in qualsiasi scuola finanziata dallo stato dell’accettabilità dell’omosessualità come pretesa relazione familiare“. Sostanzialmente, la comunità LGBT nazionale venne messa al bando. Per legge. Nelle scuole non si poteva ‘educare’ all’inclusività. Gli insegnanti LGBTQ+ silenziati, licenziati.

Georgia Oakley, sceneggiatrice e regista con una particolare predilezione per le narrazioni al femminile che sfidano le convenzioni, ha attinto da questa sconcertante pagina storica per il suo lungometraggio d’esordio, Blue Jean, presentato alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia nella sezione “Giornate degli Autori” e in corsa per il Queer Lion 2022.

La pellicola è ambientata nel 1988, anno in cui il governo Thatcher approva la contestatissima legge che mette sullo stesso piano le lesbiche e i gay con i pedofili, tutti omologati a uno stile di vita “deviato”. Le insegnanti di educazione fisica diventano il bersaglio principale di queste infamanti accuse. Jean è così costretta a condurre una doppia vita. Durante il giorno è una persona perfettamente integrata nel corpo docente; nei weekend, invece, frequenta furtivamente la scena gay di Newcastle, con la sua fidanzata Viv, lesbica che non nasconde la propria mascolinità. Terrorizzata dall’eventualità di poter perdere il lavoro che tanto ama, quando incontra una delle sue studentesse in un locale frequentato da donne lesbiche Jean reagisce esageratamente, pentendosene amaramente.

È un thriller dell’anima a tinte sociali e politiche, quello scritto e diretto da Georgia Oakley, interessata a realizzare il ritratto di una donna alle prese con la propria identità, con l’accettazione di sè in un Paese fortemente omotransfobico. In un famigerato discorso tenuto alla Conferenza del Partito Conservatore nel 1989, Margaret Thatcher disse:

“Ai bambini che hanno bisogno di essere educati a rispettare i valori morali tradizionali viene invece insegnato che hanno un diritto inalienabile di essere gay. Tutti questi bambini vengono ingannati“.

Un anno dopo quelle terrificanti parole, il 24 maggio 1988 la “sezione 28” divenne legge. Il microcosmo di Jean, che ha un ex marito alle spalle, una sorella che “l’accetta”, un adorabile nipotino, una madre totalmente assente, una fidanzata “ingombrante” e una classe di ragazze da educare ed allenare, viene lentamente travolto dal dibattito politico e dal clima che gradualmente prende forma, con tre quarti della popolazione inglese convinta che l’omosessualità sia “sempre o per lo più sbagliata”.

Girato in 16mm, Blue Jean guarda al Regno Unito degli anni ’80 specchiandosi nell’Europa di oggi, dove Paesi come Russia, Ungheria e Polonia hanno attinto proprio dalla ‘Sezione 28’ thatcheriana per silenziare e discriminare la comunità LGBTQ.

Dichiaratamente ispirata da registe come Kelly Reichardt e Chantal Akerman, Oakley ha dato vita ad una protagonista comunemente imperfetta, terrorizzata, paranoica, costretta a sopportare il peso di un’omofobia che la circonda. Al lavoro, in famiglia, all’interno del vicinato dove c’è chi la controlla dalle finestre e della propria stessa abitazione, perché Jean è implicitamente infastidita da quelle lesbiche che vivono la propria omosessualità senza maschere nè freni inibitori, alla luce del sole, non riuscendo a fare altrettanto. Un fardello a lungo trascinato che rischia di segnare l’esistenza di una giovane studentessa, da lei vista come potenziale pericolo e da salvare prima che sia troppo tardi.

Rosy McEwen, look androgino e occhi di ghiaccio, è perfetta nel rendere credibile questa discesa negli inferi segnati dalla discriminazione a cielo aperto, dal marchio di un parlamento colpevole e di un elettorato complice. Ansia, paura e tensione si impadroniscono lentamente del suo volto, amplificando ulteriormente l’importanza dell’accettazione, altrui e di sè, e del senso di comunità, il peso di una liberatoria rivelazione, la piaga di un odio che si incunea sottopelle come un virus.  Omofobia, patriarcato, conservatorismo e conflitti di classe. Era il Regno Unito degli anni ’80. È l’Europa di oggi.

Voto: 6,5

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