Emanuele Crialese – 57 anni
Coming out: 56 anni
Tornato alla Mostra del Cinema di Venezia in Concorso con l’Immensità, Emanuele Crialese ha fatto coming out come uomo trans. In conferenza stampa al Lido, Crialese ne ha così pubblicamente parlato per la prima volta.
“Questo è un lavoro sulla memoria, sull’autobiografia. Il personaggio di Adriana è nessuno, che sono io. È ispirato alla mia infanzia, alla mia storia, transfigurata. Sono nata biologicamente come donna. Non sarò mai come un altro uomo, ma ciò non significa che non ci sia in me quella parte femminile che penso sia anche la parte migliore di me in quanto uomo. Io sono quello che sono e mantengo entrambe le polarità. In questo film ho provato a trovare una chiave che non fosse autoreferenziale, che non parlasse soltanto di me, di rappresentare in chiave più universale temi che mi stanno più a cuore. Come la migrazione, da dove io arrivo, la migrazione dell’anima che può essere anche una transizione, ovvero il movimento che facciamo da uno stato all’altro. Temi che in questo film ho ripreso”.
Il regista, classe 1965, ha poi ricordato la propria adolescenza, con la difficile gestione di una transizione all’epoca assai più complicata, rispetto ad oggi.
“Sono figlio del mio tempo, il mio percorso è stato molto diverso da quello che potrebbe essere il percorso di un ragazzo di oggi. La cosa importante è stato riuscire a trasformare quel dolore, ricreando delle storie. Ad un certo punto ho dovuto fare una scelta, che non è la solita scelta dell’essere o non essere, ma la scelta di vivere o morire. Non si sceglie di intraprendere un percorso del genere. Ci si nasce. Io non ho ricordi di me che mi percepivo diversamente da quello che poi sono stato. Si arriva al mondo così. La scelta diventa quella di continuare a credere in sè o morire. Non ci sono altre alternative. La libertà che il percorso artistico mi ha dato è stata la prima forma di libertà che ho toccato con mano. Perché mi sembrava tutto sbagliato. Peggio di me è stata mia madre. Mia madre si nascondeva insieme a me. Era una donna che negli anni ’70 e ’80 era sola con questo problema. Per me era un modo di esistere, per lei era un problema e lo era anche per me perché per lei era un problema. Siamo sempre stati molto complici, ma lei soffriva del suo dolore e il soffrivo del suo dolore provocato da me. A volte da soli è molto meglio, perché si è responsabili del dolore dell’altro”.