Sono giovani, aggraziati, adorati dalle folle teen e creativi quasi bulimicamente (no, non parliamo per una volta di James Franco che comunque ha presentato al Lido in concorso il controverso Child of God su un reietto selvaggio e killer, da McCarthy, è attore anche in Palo Alto di Gia Coppola tratto dai suoi racconti e ha in produzione ben undici film indipendenti e uno show tutto suo, James Franco Presents sul mondo dell’arte). Sono le nuove promesse di una Mostra senescente in senso anagrafico ma attenta e sensibile alle novità generazionali che avanzano, in realtà molto rodate vista la precocità artistica: i loro nomi sono Daniel, Xavier, Pierre-Yves. Ma andiamo con ordine. Era dai tempi di Tom Cruise e il suo Collateral che non si vedevano deliri divistici come quelli inscenati dai fan di Daniel Radcliffe che urlano a squarciagola all’apparizione del loro idolo post-Potteriano, tamburellano sulle pareti semitrasparenti dello spazio Disaronno dove viene intervistato (una ragazza riesce persino a entrare spacciandosi per giornalista per essere poi bloccata dalla sicurezza), lo assediano pericolosamente persino quando tenta di andare in bagno. È la riprova che le scelte controcorrenti intraprese per liberarsi dall’aura magica ma un po’ soffocante del maghetto che gli ha dato lustro planetario sono state approvate dalla massa adorante: e la buona accoglienza riservata all’opera prima di John Krokidas Kill Your Darlings (uscirà in Italia col titolo “Giovani ribelli” il 17 ottobre in ben 200 copie grazie a Notorius Pictures) lo conferma pienamente. Si tratta di uno spaccato della Beat Generation negli anni della formazione alla Columbia University dove un imberbe Allen Ginsberg si iscrisse nel 1944. Radcliffe interpreta proprio lui, il visionario poeta gay dell’immortale e psichedelico Urlo, che proprio in quel periodo avrebbe vissuto le prime esperienze omosessuali – l’attore non si sottrae a una scena amorosa esplicita – e conosciuto le anime del movimento allora in erba – e acidi -, ossia Jack Kerouac (Jack Huston) e William Burroughs (Ben Foster). Ma Krokidas focalizza un episodio poco noto dell’epopea beat, ossia un omicidio tenuto occultato che mise in crisi il gruppo, quello del professore David Kammerer (Michael C. Hall) da parte del loro compagno di studi Lucien Carr (Dane DeHann) per il quale il docente nutriva un’attrazione morbosa. «Non ho sentito su di me una particolare pressione nell’interpretare questo gigante della letteratura – ha rivelato Radcliffe – ma sarebbe stato diverso se si fosse trattato di Keats che venero come un dio. Ho semplicemente cercato di rendere giustizia al personaggio».
Applausi in concorso per il thriller psicologico Tom à la ferme (“Tom nella fattoria”) del prodigioso Xavier Dolan, che a soli ventiquattro anni firma il suo quarto lungometraggio (ne ha già in cantiere altri due), definito dal regista in conferenza stampa «una psicosi, un tuffo nella profonda nevrosi di due esseri che cercano di colmare un vuoto». Ambientato nella campagna rurale canadese – «la fattoria doveva essere molto lontana e isolata dalla città, ma la casa è tipica delle periferie urbane» spiega Dolan -, racconta del giovane pubblicitario Tom (il regista stesso con lunghi e ondulati capelli biondi) che si reca in una fattoria per il funerale del compagno morto in un incidente ma scopre che nessuno sa di lui e della sua omosessualità tranne il burbero fratello di quest’ultimo, Francis (Pierre-Yves Cardinal). Costui gli impone con la violenza di non rivelare nulla per non turbare la madre sconvolta ma tra i due si instaura un rapporto ambiguo di seduzione sadomasochistica.
In Tom à la ferme, tratto dalla commedia teatrale di Michel Marc Bouchard e interpretato da alcuni attori che l’avevano portata in scena quali Lise Roy ed Evelyne Brochu, non mancano le consuete soluzioni sofisticate di regia tipiche di Dolan, questa volta rappresentate essenzialmente da
improvvisi cambiamenti di formato dell’inquadratura, dai 16:9 al Cinemascope, «per soffocare storia e personaggi in determinati momenti, in prossimità di situazioni di angoscia», come ha spiegato il regista. «Dovevamo girare il film in un lungo periodo, due anni – continua Dolan – ma, dopo il Festival di Cannes, ho deciso di volerlo fare rapidamente: ho scritto l’adattamento in due mesi. Il personaggio di Tom non sente la violenza da parte di Francis, fa parte della sua elaborazione del lutto. Sono cresciuto alla periferia di Montréal ma ho cercato di rovesciare gli stereotipi abituali sulla campagna bucolica: per me è piuttosto angosciante. Abbiamo utilizzato le musiche di Gabriel Yared perché è un genio sorprendente».
Nel ruolo chiave di Francis troviamo l’avvenente Pierre-Yves Cardinal, attore di serie tv al suo secondo lungometraggio dopo Polytechnique di Denis Villeneuve. A proposito del suo complesso personaggio Cardinal spiega: “Dovevo rappresentare il lato oscuro, un baratro vivente. Xavier mi diceva di pensare ai coyotes per ispirarmi: sono come lupi ma non amano la vita di branco, se ne stanno molto in disparte. Proprio come il mio Francis».
Tra gli eventi collaterali al Festival, l’incontro tra Vladimir Luxuria e il ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge. Entrambe erano al Lido per la campagna lanciata dall’Authority per l’Infanzia e l’Adolescenza – nell’anniversario dello storico discorso di Martin Luther King a Washington “I have a dream” – contro razzismo e omofobia.
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