Viene definito con la sigla PTSD. È il disturbo post-traumatico da stress. Si tratta di una forma di disagio mentale che si sviluppa in seguito a esperienze che hanno segnato negativamente la vita di una persona. È comune in alcuni militari di ritorno da una missione. È un serio problema per chi ha subito violenze sessuali e per le vittime di pedofilia. Ed è stato diagnosticato anche nelle persone omosessuali che hanno vissuto a pieno gli anni dell’AIDS.
Gli Anni ’80. Quando il virus dell’HIV iniziava a farsi conoscere. E senza un ciclo di terapie, si tramutava in AIDS. Ed ancora oggi, non c’è una cura. Un’epidemia invincibile, che però non preoccupava le istituzioni, poiché ad ammalarsi e a morire erano “solo i gay”.
A spiegare la correlazione tra chi ha vissuto quegli anni terribili e il disturbo post-traumatico da stress è il dottor Gerard Ilaria, specializzato in salute mentale e direttore clinico di Headstrong, al Weill Cornell Medical Center di New York City. Il dottore si occupa di fornire un aiuto medico gratuito alle persone LGBT che soffrono di PTSD.
Matthew Riemer e Gerard Ilaria sono amici da tempo. E hanno raccontato cosa si prova a dover sopravvivere a un’epidemia che ha portato via molti conoscenti e amici, uno dopo l’altro e condividere il resto della vita con un disturbo post-traumatico . Dopo una ventina di amici morti di AIDS, un matrimonio, e circa 40 anni, ancora oggi non è facile ricordare quegli anni. Ma ci si pensa ogni giorno, volenti o nolenti.
Crisi, panico, paura: gli effetti del disturbo post-traumatico da stress
Iper vigilanza. Paura e attenzione ossessiva al pericolo. Insonnia. Isolamento. Rifiuto a incontrare certe persone o a passare per certi luoghi. Panico, scoppi di rabbia improvvisa, irritazione. Ogni giorno è così. Ci sono momenti più tranquilli, altri in cui si scoppia per un niente.
Questi i risultati di un disturbo post-traumatico da stress. In quegli anni, non c’era solo la paura di rimanere contagiati, ma si doveva fare i conti con un’intera società che vedeva un omosessuale come un untore. C’era un rifiuto completo da parte di tutti. E nessun aiuto. Nemmeno da parte della famiglia, che molte volte non accettava l’orientamento sessuale.
E per superare tutto questo, si ricorre all’abuso di farmaci, di alcol e di droghe. E questi, sono circa il 30-40% di adulti gay.
Il rischio suicidio nelle persone LGBT
A questo, si aggiunge anche un problema ancora più grande. Se l’epidemia di AIDS è passata (e non ancora del tutto), c’è sempre l’odio a mettere in difficoltà i membri della comunità LGBT. Il progetto Trevor quest’anno ha segnalato che il 40% degli intervistati ha seriamente considerato di tentare il suicidio nell’ultimo anno. Il 48% dei giovani LGBT ha affermato di essersi auto-inflitto dolore, una percentuali che supera il 60 per persone trans e non binarie.
Anche da parte della politica, l’impegno per la tutela della comunità non aiuta. Per l’86% degli intervistati, le recenti politiche hanno avuto un impatto negativo. E il 46% pensa di aver bisogno di una consulenza psicologica.
Un trauma che continua. E che continuerà fino a quando l’odio non finirà.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.