Si sente spesso parlare di ecofemminismo in termini molto vaghi. In verità, si tratta di movimento tutt’altro che disorganizzato, che anzi ha una storia secolare e, oggi più che mai, influenza sulla conversazione politica globale.
Cos’è l’ecofemminismo?
L’ecofemminismo è un movimento che pone la lotta al cambiamento climatico e quella per l’uguaglianza di genere in un fronte comune rispetto al patriarcato.
Nello specifico, l’ecofemminismo sostiene che la maggior parte dei problemi legati all’ambiente abbiano una causa specifica, ovvero la priorità che viene data ad atteggiamenti e personaggi portatori di caratteristiche collegate all’archetipo maschile – prevaricazione, aggressione e lotta per la dominanza.
L’ecofemminismo sostiene inoltre che le donne siano le prime a essere colpite dalle conseguenze del cambiamento climatico.
Secondo un report delle Nazioni Unite, le donne detengono statisticamente un potere economico minore rispetto agli uomini, e sono quindi più vulnerabili alle situazioni di emergenza causate dai disastri antropici. Si legga, per esempio, questo articolo:Nel mondo le donne impiegano 200 milioni di ore al giorno per procurarsi acqua pulita
Esistono tuttavia diverse sottocategorie del movimento, che includono l’ecofemminismo vegetariano e vegano e quello materialista.
Ma, alla radice, tutte le ramificazioni convengono che le qualità maschili che hanno fin qui dominato la storia hanno portato a una spaccatura tra l’essere umano e la natura, che ha non solo causato problemi a livello climatico, ma anche reso più vulnerabili specifiche fasce di popolazione.
Le origini dell’ecofemminismo
Il femminismo, in tutte le sue ondate, ha sperimentato evoluzioni e trasformazioni sin dal suo primo virgulto nel XIX secolo.
L’ecofemminismo è figlio del proprio periodo storico, un’epoca in cui si cominciava a pensare alle conseguenze dell’industrializzazione e come esse potessero essere collegate alla marginalizzazione di alcune fasce di popolazione.
Per arrivare al termine ecofemminismo bisognerà aspettare il 1974, quando fu coniato dall’attivista Françoise d’Eaubonne, che ai tempi analizzò la correlazione tra l’oppressione femminile e delle minoranze e l’arroganza mostrata dall’uomo bianco privilegiato, sostenendo che essa venisse applicata anche nello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali.
Negli anni a venire, in molt* hanno esplorato e approfondito il sentimento che sta dietro all’ecofemminismo, dando vita a un movimento strutturato, cui partecipano anche molte celebrity.
Per come lo conosciamo oggi, l’ecofemminismo ha compiuto 48 anni, ed è più rilevante che mai. E sebbene il termine non venga più utilizzato come un tempo, i suoi principi si sono sviluppati autonomamente in diversi movimenti che danno voce alle minoranze – come ad esempio, la correlazione tra la comunità LGBTQ+ e la coscienza ambientale.
I principi dell’ecofemminismo
L’ecofemminismo si compone di cinque principi fondamentali.
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L’oppressione delle minoranze vulnerabili e l’oppressione sul pianeta e l’ecosistema sono strettamente correlate.
Il dominio patriarcale, che presuppone che gli attributi maschili abbiano più valore rispetto a quelli caratteristici dell’archetipo femminile, ha portato a un utilizzo sconsiderato delle risorse a scapito dei gruppi marginalizzati.
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È necessario rimpiazzare la cultura della sopraffazione con un’etica della premura
“La base dell’ecofemminismo è l’etica della premura, un sistema in cui tutte le decisioni vengono prese in un’ottica di uguaglianza” sostiene la dott.sa Heidi Hunter, professoressa universitaria ed ecofemminista.
L’ecofemminismo punta quindi a eliminare il sistema di sopraffazione e sfruttamento che nasce dall’egemonia patriarcale, per attivare un’etica della premura, dunque un approccio alla moralità strettamente correlato all’archetipo femminile.
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Qualsiasi forma di oppressione è inaccettabile e interconnessa
Secondo il movimento, nessuna forma di oppressione è accettabile. Per far sì che il movimento ambientalista sia omnicomprensivo, esso deve considerare qualsiasi fascia marginalizzata, e intersecare le battaglie perché esse sono interconnesse tra di loro.
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L’analisi dell’interconnessione tra tutte le forme di oppressione sistematica è fondamentale
Per concretizzare i propri sforzi, il movimento ecofemminista si propone di analizzare la stretta connessione tra le varie forme di oppressione e comprenderne la radice fondamentale, ovvero il sistema patriarcale.
Ad esempio, è evidente la “femminilizzazione” del movimento ambientalista in ogni ambito, il che appare subliminalmente negativo agli occhi di coloro che percepiscono l’archetipo maschile come quello più “forte” e “dominante”.
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La voce del movimento ecofemminista dev’essere quella dei gruppi marginalizzati
Sebbene il movimento spinga per un’etica della premura generalizzata, viene enfatizzata la necessità di dare voce ai gruppi marginalizzati – prime vittime del cambiamento climatico e dei sistemi oppressivi – ponendoli in posizione di leadership.
Le critiche mosse all’ecofemminismo
La critica più pregnante al movimento femminista arriva dall’idea essenzialista – ovvero la credenza che esista effettivamente un archetipo maschile e femminile.
Una frangia del movimento femminista sostiene infatti che l’idea che vi siano caratteristiche maschili e femminili va ad accentuare una dicotomia di genere che il femminismo si proponeva invece di combattere. Volendo semplificare, la critica sarebbe che per andare oltre il binarismo, bisognerebbe sforzarsi di non basare le proprie lotte su concetti binari che contrappongo maschile/femminile.
Il movimento tuttavia rigetta l’idea, sostenendo che l’idea di un archetipo sia diversa dall’individualità di ciascuno: chiunque può possedere caratteristiche “maschili” o “femminili” a prescindere dall’identità di genere.
Photo by Mick De Paola on Unsplash
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