Genitori, figli, e identità di genere in teatro: intervista a Bryan Ceotto

Abbiamo intervistato il protagonista di 'La madre di Eva', piece diretta e interpretata con Stefania Rocca, per parlare di rappresentazione transgender e teatro come terapia.

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Cosa c’è più di doloroso e liberatorio del sentirsi riconosciut*?

È un processo che distrugge e ricompone, spesso davanti lo sguardo di chi amiamo di più. Autodeterminarci può essere anche brutale e imprevedibile, ma quella che appare come una lotta tra buoni e cattivi, è spesso una presa di coscienza reciproca.

Parla proprio di questo ‘La madre di Eva’, piece teatrale diretta e interpretata da Stefania Rocco, al suo esordio alla regia e in scena dal 28 al 2 Marzo presso il Teatro Lirico ‘Giorgio Gaber’ di Milano.

Tratto dall’omonimo romanzo di Silvia Ferreri (finalista al Premio Strega 2018), racconta la storia di Alessandro, adolescente transgender che intraprende un percorso di transizione, e una madre che non vuole vedere. È uno scontro inter-generazionale, una storia sull’identità di genere, ma ancora di più un tentativo di incontro in tutta la nostra imperfetta umanità.

Ho scelto di utilizzare diversi linguaggi oltre la messa in scena teatrale per meglio raccontare quei momenti di vissuto che appaiono e scompaiono dalla memoria senza soluzione di continuità a comporre quel puzzle emotivo di due esistenze antitetiche” spiega Rocca, ritenendo che la risoluzione di ogni conflitto si risolve ascoltando “il linguaggio del cuore”.

Per portare in scena ‘La madre di Eva’, Rocca insieme a Matteo Forte, amministratore delegato di Stage Entertainment e direttore dei teatri Lirico e Nazionale, si sono confrontati con innumerevoli genitori e figli in situazioni “inaspettate, dolorose e rivelatrici” ma che Forte definisce “eroi, dell’empatia e dell’amore incondizionato che avrebbero molto da insegnare a tutti“.

A dare corpo e vita alla storia di Alessandro, c’è Bryan Ceotto, giovanissimo attivista transgender alla sua prima esperienza come attore.

Un lavoro che l’ha invitato a ripercorrere step del suo passato e mettere in discussione aspetti di sé che pensava accantonati, in un processo di scoperta continua tra sé e il suo personaggio.

Ne ha parlato con noi.

 

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Com’è stato lavorare con Stefania Rocca? E come vi siete approcciat* insieme a questa storia?

È stato incredibile. Stefania Rocca è un’attrice internazionale con un sacco di esperienza tra teatro e cinema, mentre io non ho mai fatto recitazione di alcun tipo, né cinematografico tantomeno teatrale. È stato molto forte, perché oltre all’aspetto della recitazione, la dizione, o portare le emozioni in scena, è uno spettacolo che parla di transessualità, e io in quanto ragazzo trans molte di quelle emozioni le ho vissute, ma tante altre le ho accantonate. Sono ad un punto della transizione dove, almeno sul piano estetico, mi sento abbastanza rappresentato – cosa in pre-testosterone meno facile. Quindi ho ripreso in mano emozioni che ho sempre tenuto per me, e l’idea di esporle a così tante persone, e soprattutto a me stesso, è stato molto complesso.

Com’è stato rivivere queste emozioni? Ha avuto una funzione anche catartica e terapeutica?

È stato difficilissimo perché alcune emozioni credevo di averle superate, ma in realtà le avevo solo messe da parte come se non esistessero. Ci sono emozioni che il teatro mi sta permettendo di riprendere in mano, senza accantonarle. Mi aiuta ad interiorizzare quello che sto sentendo, e inoltre, mi ha permesso di aver capito i miei genitori. Se prima ero preso dal mio egocentrismo, ora penso che anche loro sono stati male, le loro emozioni erano importanti quanto le mie. Mi ha permesso di vedere il loro punto di vista in modo ancora più maturo e sano rispetto a quando ho fatto coming out a 16 anni.

Quanto c’è di te in Alessandro e in quanto siete diversi?

Tutto e niente. Tutto, nel senso che le emozioni tirate fuori corrispondono a quelle che ho vissuto io. I modi di fare, di interagire con gli altri sono diversi da me, ma stiamo sempre parlando di transessualità, malessere, benessere, euforia di genere e diciamo dipende dal punto di vista.

 

 

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In Italia ancora fatichiamo a rappresentare queste storie in maniera adeguata. In particolare modo, raramente coinvolgiamo attori o attrici transgender per raccontarle o interpretarle. Qual è la tua opinione a riguardo? Pensi ci stiamo muovendo verso miglioramenti?

Sicuramente c’è un miglioramento. Anche solo in questo spettacolo hanno fatto provini esclusivamente con persone trans. Penso sia necessario non solo nel nostro caso, ma per tutte le persone marginalizzate. Credo sia essenziale lasciar raccontare queste storie a chi le ha vissute, perché penso sia necessario interagire con una persona che fa parte di quella storia, e in caso contrario  si rischia di male interpretare un’emozione che non hai mai provato. Il tuo attivismo nel voler fare un film, una serie, o uno spettacolo teatrale diventa completamente sbagliato perché lo fai mettendo in scena aspetti che non c’entrano nulla.

Cosa speri di lasciare a chi guarderà il tuo spettacolo?

L’idea che possa permettere di immedesimarci. Immagino che nel pubblico ci saranno degli Alessandro o dei genitori che stanno vivendo questa esperienza. Spero si riesca a vedere sia la parte di Alessandro, sia chi la vive dall’esterno, e si interfacciano con persone transgender. Poter credere che gli Alessandro possano comprendere i genitori, e i genitori possano comprendere gli Alessandro. 

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