Articolo in aggiornamento – Per segnalazioni scrivere alla redazione
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è iniziata il 24 Febbraio 2022. La violenza distruttiva messa in campo dall’esercito di Vladimir Puti, in meno di dieci giorni, ha provocato almeno 2.000 morti tra la popolazione civile ucraina (fonte: ONU).
Lo scenario geopolitico sta subendo sconvolgimenti paragonabili a quelli seguiti all’11 Settembre 2001, quando gli USA furono attaccati sul proprio suolo da forze di natura terroristica. Gli eventi che coinvolgono Russia e Ucraina in questi giorni presentano tuttavia almeno quattro caratteristiche che lasciano intuire conseguenze ben più gravi delle pur terribili guerre e dei conseguenti terremoti economico-finanziari che seguirono l’attacco alle Torri Gemelle ventuno anni fa.
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L’aggressione è questa volta condotta non da bande armate di natura terroristica, ma dalla Russia, stato nazione che è anche una superpotenza militare.
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La presenza sul campo diplomatico, e purtroppo anche sul campo di guerra, di una possibile escalation verso l’utilizzo di tecnologie basate sull’energia nucleare.
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L’ombra della Cina, diventata negli ultimi vent’anni la più grande potenza economica del pianeta, che sembra tentennare nel prendere posizione rispetto all’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina: una titubanza che getta un’ombra sinistra sui prossimi decenni.
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La situazione economica e finanziaria mondiale già sconvolta dalla pandemia di Covid-19.
A questo scenario, si aggiunge l’evidente scontro tra differenti conformazioni socioeconomiche, politiche e di lifestyle, qualcuno lo chiama forse un po’ grevemente scontro di civiltà. Da un lato le dittature, dall’altro le democrazie (più o meno liberali).
I governi occidentali hanno finora preferito dare una risposta non bellica all’azione violenta della Russia di Putin, adottando sanzioni di natura diplomatica, economica e finanziaria. Venti paesi, guidati diplomaticamente e militarmente da USA, Germania, Francia, Italia e Regno Unito, che formano il cosiddetto Quint in seno alla Nato, hanno compiuto nelle ultime ore anche i primi passi militari, inviando armamenti all’Ucraina. L’Unione Europea ha fatto sentire la sua voce nella decisione comune di procedere a sanzioni economiche e finanziarie senza precedenti verso la Russia. Sanzioni che però non riguardano, per ora, l’acquisto di gas russo, soprattutto per le necessità di Italia e Germania.
L’opinione pubblica occidentale è sostanzialmente compatta nel condannare il tiranno di Mosca, fatte salve alcune sacche di dissenso, provenienti in parte da strati di popolazione da anni manipolati dalla propaganda cibernetica russa, e in parte dalle aree di pensiero anti-capitalista e pacifista a oltranza.
Complesso e interconnesso è il rapporto tra Occidente e Russia, quando si parla di denaro. Oltre alle questioni di forniture energetiche e alimentari (gas e grano su tutte) che la Russia garantisce alle grandi potenze occidentali, negli ultimi giorni la conversazione su media e social ha posto l’attenzione sulla direzione inversa: quella che vede il denaro spostarsi dalla Russia all’Occidente. E cioè: quante sono le aziende occidentali che fatturano miliardi in Russia? Non sono poche, e non sono pochi i miliardi di euro che ogni anno entrano nelle tasche dei cittadini occidentali che fanno affari con Mosca.
Ma davanti al massacro che per decenni resterà come una macchia sulla popolazione russa, ormai vittima anche di un serpeggiante e tossico sentimento di russo-fobia, è difficile restare indifferenti. E in un’epoca in cui le aziende cavalcano i valori di libertà, autodeterminazione e uguaglianza di tutti gli individui, l’aggressione di Putin all’Ucraina ha scosso le coscienze. Anche quelle più solitamente interessate al profitto capitalistico. Non solo infatti è inaccettabile la violenza che la Russia sta infliggendo alle persone. Si profila in modo evidente la possibilità di un’aggressione frontale e assai poco diplomatica dei regimi illiberali (Russia e Cina) alle democrazie (più o meno) liberali d’Occidente.
Alcune grandi aziende occidentali hanno dunque preso posizione, rinunciando al mercato russo, ed eliminando consistenti quote del proprio fatturato. Ecco di seguito una lista – che cercheremo di mantenere aggiornata – di aziende che hanno deciso di non vendere più prodotti, di non erogare più servizi e di interrompere le proprie collaborazioni e i propri investimenti in Russia, a seguito dell’invasione sanguinaria inflitta dall’ex URSS alla democrazia indipendente ucraina.
È importante sapere oggi quali aziende occidentali hanno deciso di interrompere investimenti, commerci e forniture di servizi in Russia, al costo di privarsi di consistenti quote di fatturato, pur di aderire alla linea comune messa in campo dai governi delle democrazie liberali: scongiurare l’imprevedibile escalation che scaturirebbe da uno scontro armato con Mosca.
AZIENDE CHE HANNO INTERROTTO VENDITA DI PRODOTTI E SERVIZI IN RUSSIA
(in aggiornamento – per segnalazioni contattare la redazione)
• Apple Pay
• Apple
• Adidas
• Asos
• Audi
• AMD
• Amazon
• Adobe
• British Petrolium
• BBC
• BMW
• Bolt
• Boeing
• Burberry
• Chevrolet
• Cannes Festival
• Cadillac
• Carlsberg
• Cex Io
• Cinema 4D
• Coca Cola
• Danone
• Disney
• Dell
• Dropbox
• DHL
• Eni
• Eurovision
• Ericsson
• Exxon Mobil
• Etsy
• Facebook
• FedEx
• Formula 1
• Ford
• FIFA
• Google Pay
• Google Maps
• General Motors
• Hermes
• H&M
• HP
• Harley Davidson
• Ikea
• Inditex (Zara, Bershka, Pull&Bear, Oysho, Massimo Dutti)
• Instagram
• Intel
• Jaguar
• Jooble
• Kering (Balenciaga, Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta ecc.)
• KUNA
• Lego
• Lenovo
• LinkedIn
• LVMH (Louis Vuitton, Dior, Fendi, Givenchy ecc.)
• Mango
• Mastercard
• MOK
• Mastercard
• Maersk
• Mercedes
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• Metro
• Mitsubishi
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