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L’italiano e l’ossessione per il culo: gli insulti omofobi sedimentati nella nostra lingua

“Leccaculo”, “botta di culo”, “sei un rottinculo”, “culattone”, “rompere il culo” e persino “stronzo”, a pensarci bene…

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L'italiano e l'ossessione per il culo: gli insulti omofobi sedimentati nella nostra lingua
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L’altro giorno M., il mio migliore amico, era in spiaggia col fratello e, sovrappensiero, ha chiuso le chiavi dell’auto nel bagagliaio della macchina. È scoppiata una lite furibonda in cui i due, tra urla e improperi, si sono rinfacciati episodi risalenti a quindici anni fa. Di lì a poco, sono poi arrivati sul posto i pompieri che hanno estratto le chiavi dall’auto. Tutto sembrava risolto e la giornata al mare poteva procedere senza altri intoppi.

Il pomeriggio seguente, il fratello, seduto al bar di fronte a M. e altri amici comuni, ha raccontato la vicenda con toni scherzosi e fraterni, tra risate, ammiccatine e sei sempre il solito generali, chiosando con un distratto: “M. ha fatto la checca isterica, ma per fortuna l’abbiamo risolta”. Questa frase, pronunciata sbadatamente senza cattive intenzioni, ha ferito M. nel profondo perché a detta sua “già abbiamo mezzo mondo contro, ora pure da mio fratello devo sentirmi dire ‘ste cose”. Inutile dirlo, è seguita un’altra scenata.

M. è un architetto di trentuno anni. Ha un debole per i gatti, la musica pop e la perfezione geometrica degli edifici. Il suo dolce preferito è il tiramisù, è testardo, socievole ed è alto un metro e ottantacinque circa. Detesta chi mangia a bocca aperta, ha un compagno da due anni e non tollera chi urla al telefono sui mezzi pubblici. Vuole molto bene al fratello, e il fratello ne vuole a lui. Da un anno circa vive in Costa Azzurra e la sua vita, dopo anni di problemi economici e familiari, procede a gonfie vele. Cosa c’entra il suo orientamento sessuale con una litigata per un mazzo di chiavi? Quando si arrabbia, M. sa essere tagliente, polemico, a tratti caustico, ma senz’altro durante una discussione sa argomentare e difendere il proprio pensiero con una fermezza e una lucidità critica rare. Cosa porta a giudicarlo aggressivo, anziché assertivo, e a bollarlo d’ufficio come un “omosessuale maschio dagli atteggiamenti effeminati affetto da isteria”?

L’italiano, purtroppo, è costellato da una miriade di insulti omofobi utilizzati su base quotidianaperché si è sempre fatto o detto così” e che perciò passano inosservati perché resi ormai vintage dalla patina del tempo e dell’uso. Spesso, molte di queste offese riguardano il fondoschiena che, come un talismano, viene invocato per gestire e scongiurare certi eventi della vita di ogni giorno. Quando una persona, che per praticità chiamerò Persona, fa un torto a qualcuno, o lo pugnala alle spalle, gliela “mette nel culo” – e se la combina bella grossa, molto spesso gliela “ficca nel culo senza vaselina/a sangue/con la sabbia”.

 

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Copia del David di Michelangelo, Piazza della Signoria, Firenze

 

Quando Persona prende in giro un’altra persona, in automatico la “prende per il culo”. Se Persona commette un errore in ufficio e i colleghi la coprono, le hanno “parato il culo” da un’oscura e a quanto pare penetrante minaccia. Quando Persona fornisce una soluzione troppo semplice a un problema ben più complesso, o regala un oggetto indesiderato, farebbe bene a “ficcarseli su per il culo”, e se Persona si dà qualche aria, o è soltanto timida e introversa, ha di certo un “palo nel culo”.

Mettiamo caso che Persona sia lievemente accomodante, be’, è proprio una “leccaculo”, e se per caso avesse mai bisogno di un po’ di fortuna, le si augura di ricevere una “botta di culo”. Persona deve “farsi il culo” se vuole occupare un posto in questa società e deve farsi “fare il culo” dal capo se sceglie di lavorare otto ore al giorno anziché undici, perché tanto lo stipendio sempre di mille euro rimane. A fine giornata, Persona può permettersi di mandare tutti “affanculo” perché per oggi ne ha avuto e sentito abbastanza.

Se poi Persona ha la sventura di nascere maschio senza però “scoparsele tutte”, apriti cielo: è “culattone”, o peggio ancora “frocio”, “ricchione”, “finocchio”. Persona è “culattone” anche se non beve abbastanza birre, se sbaglia un rigore al calcetto del giovedì, se piange guardando un film o se fa una cavolata e viene scherzosamente rimproverata per questo. E, come nel caso di M., Persona “culattone” non può permettersi il lusso di alterarsi in alcun modo, né di argomentare durante un diverbio sebbene viva in un mondo iperconnesso che richiede un’opinione su ogni singola cosa, perché no, sbaglia i toni, gesticola troppo, urla e si dimena scagliandosi sul primo malcapitato come una vera e propria “checca isterica” col “culo rotto”.

Ora, una domanda sorge spontanea: che cosa ci hanno fatto di male gli orifizi anali e i maschi omosessuali per meritarsi di essere nominati invano ogni santo giorno nei ventagli di improperi dell’italiano? Se, come sostiene l’ipotesi postulata dai linguisti Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf, è vero che ogni lingua plasma la realtà circostante, suddividendola in categorie cognitive che vanno poi a comporre il nostro pensiero, questo atteggiamento cosa ci dice su di noi?

 

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La Venere Callipigia, o anche Afrodite Callipigia, conservata nel museo archeologico nazionale di Napoli.

 

Ogni essere umano perde la calma e l’alterarsi è una nostra prerogativa. Tuttavia, la rabbia, se incanalata in maniera costruttiva, è quell’emozione primaria che non solo innesca la fame e la masticazione, incentivando perciò alla sopravvivenza, ma è anche quella preziosa alleata che ci consente di andare per il mondo con un nostro pensiero da condividere e difendere, fronteggiando eventuali critiche con la parola e il dibattito. La rabbia può talvolta scatenare anche l’offesa, ma troppo spesso le due vengono associate indissolubilmente, senza soluzione di continuità. Arrabbiarsi è dunque umano, offendere lo è altrettanto, ma le parole, soprattutto se cariche di etimologie centenarie, sanno essere coltelli. Questa eredità di significato non va emendata, ma va approfondita per scegliere se farla nostra o accantonarla.

Ogni volta che stiamo per dare del “rottinculo” a Persona perché ci ha fatto dannare, fermiamoci a riflettere: “rompere il culo” significa malmenare, ma si porta dietro anche un brutale fardello semantico legato allo stupro e alla violenza di un rapporto anale senza consenso. Ciò non significa che “non si può più dire niente”, che “i problemi sono ben altri” e che “noi a scuola ce lo dicevano sempre”: se quaranta, cinquant’anni fa eravamo maleducati, nessuno ci sta obbligando a continuare a esserlo. Ciò vuol dire più banalmente conoscere meglio le parole per ponderare le parolacce giuste – perché chiunque si arrabbia e perde il controllo – sempre tenendo presente chi si ha di fronte. Durante la lite dell’altro giorno, M. può essere risultato “acido”, una “carogna”, tutt’al più uno “stronzo”, ma non una “checca isterica”: definirlo come tale lo offende non solo su un altro livello, non pertinente con la materia della discussione, ma mette anche in dubbio la sua credibilità di essere umano pensante riducendolo a una macchietta stereotipizzata che oggigiorno non ha più ragione di esistere.

Così come, scostandoci momentaneamente dalla tradizione del turpiloquio italiano ossessionato dall’ano dei maschi omosessuali, dare della “puttana” a una donna perché ci ha rubato il fidanzato, o ha tradito il suo, o solo perché è maligna con noi al lavoro o nella vita, non è attinente: questa persona ci ha fatto del male, se lo è autoinflitta, o l’ha fatto ad altre persone, ma questo non fa di lei una donna che vende le proprie prestazioni sessuali per vivere.

M. e il fratello, alla fine, hanno chiarito. Si sono parlati, M. gli ha spiegato che, quando lui si arrabbia ed esprime un’opinione, mica gli dà del “puttaniere” per insultarlo, semmai gli dice che non ha capito un cazzo. E con ciò, noi ci riaggiorniamo al prossimo articolo sul tema – forse.

Autore: Emanuele Bero

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