Sul fatto che Giorgia Meloni sia una donna ambiziosa, carismatica e determinata non ci piove. Un simbolo femminista? Forse, secondo Marina Terragni, che nell’articolo pubblicato sul celeberrimo blog femminista radicale “RadFem Italia” l’ha definita, parafrasando, una paladina dell’identità femminile contro una sinistra che – a suo dire – vuole rendere il concetto di donna obsoleto.
Ne ha parlato lungamente Natalia Aspesi, nel suo articolo “La falsa illusione delle femministe che votano Meloni solo perché donna”, analizzando la retorica di Terragni, snocciolandone i punti e dando la propria interpretazione del manifesto – innegabilmente a sostegno di una donna, sì, ma una donna di estrema destra, con ideali di estrema destra.
Non è un segreto che RadFem Italia sia stato più volte etichettato come un gruppo di TERF – trans exclusionary radical feminists – e, come tale, criticato aspramente dai movimenti transfemministi. Tuttavia, forse qui si è andati un po’ troppo oltre.
Ma non c’è neanche da stupirsi, se si parla di Marina Terragni. Nell’articolo, la giornalista si dilunga in un’aspra critica verso la sinistra attuale, accusata di scaricare le donne come “soggetti ormai vecchi e obsoleti in favore di nuovi e postmoderni clientes nell’orizzonte della fluidità sessuale”.
Un poco velato riferimento alla questione transgender, intersex e non binaria portata avanti dal transfemminismo. L’abbattimento del binarismo, per Terragni, è una guerra alle donne e alla maternità, lo specchio del neopatriarcato travestito da lotta LGBTQIA+.
Ma non solo: alcune idee conservatrici di Giorgia Meloni si sposano perfettamente anche con quelle che sono le proposte di RadFem: contro l’utero in affitto, contro la semplificazione del processo di transizione.
La sinistra ha deluso questa frangia femminista, e forse l’estrema destra è rimasto l’unico baluardo ancora in piedi a sostegno dell’ideologia TERF? Non ci sbilanciamo.
A scapito di decenni di lotta femminista per la liberazione del corpo femminile, per il riconoscimento e la normalizzazione della comunità LGBTQIA+, per i diritti fondamentali, RadFem, nella figura di Marina Terragni, però, sembra un po’ tornare indietro. Viene da chiedersi se avrebbe fatto lo stesso con un esponente maschio eterosessuale.
Perché è molto facile giocare la carta della donna al potere per smuovere le coscienze di donne deluse, arrabbiate con una sinistra effettivamente immobile, e non solo sulla questione femminista.
“Per quelle fra noi – non tante, ma ci sono – che sostengono la destra, non può esserci dubbio: la sfida di Giorgia va sostenuta. Ma le altre? Potranno continuare, in coerenza con le proprie vite, a supportare una sinistra che le ha letteralmente cancellate?”.
Cauta e astuta, Marina Terragni non si schiera, ma mette la pulce nell’orecchio lasciandosi però aperta la possibilità di controbattere a fronte delle inevitabili critiche.
“Ci sono, fra noi, in esigua minoranza, anche delle elettrici di Meloni, ma quasi tutte veniamo dalla sinistra. Il femminismo è storicamente legato alla sinistra”.
Salvo poi fare marcia indietro, continuando comunque a sostenere l’idea che un’ascesa al potere di Giorgia Meloni sarebbe una “novità storica di grande rilievo”, che potrebbe portare una ventata di aria fresca in un ambiente a dominanza maschile, intervenendo su temi come l’utero in affitto e la centralità della relazione materna, tanto cari a RadFem.
Ed è proprio questo che accomuna Terragni, Meloni e persino Rowling: l’ideale femminista che non ha problemi a cancellare l’identità di centinaia di migliaia di persone per difendere una definizione di “donna” che non è in nessun modo in pericolo, per chi vi si vuole identificare.
Secondo questo tipo di femminismo, esistono mostri come la teoria del gender creati dal neopatriarcato per opprimere ancora una volta il genere femminile, “per cui si sostituiscono i corpi sessuati e chiunque vuole può essere una donna”.
In realtà, quello che il movimento – TERF? Femminista radicale? Tradizionale? Conservatore? – fallisce nel comprendere è che il transfemminismo difende la possibilità di autodeterminazione di chiunque nel sentirsi a proprio agio con la propria identità, nel costruire una famiglia – o nel non costruirla! – e nel potersi configurare come parte di una società al pari del proprio vicino in coda alla Posta.
Il succo del discorso è che non si può parlare in termini di “schieramento” e “svolta conservatrice” leggendo l’articolo di Marina Terragni prima su RadFem, e poi la sua intervista in risposta all’articolo di Aspesi. Le linee sono troppo sfocate per il momento.
“In ogni caso, alcune fra noi pensano di poter interloquire principalmente con il Partito Democratico, altre non più, altre ancora stanno dalla parte di Meloni. Però se lei diventasse premier e avesse bisogno di noi su qualunque tema, se volesse un contributo, ecco secondo me è assolutamente impensabile dire di no solo perché non è di sinistra”.
Per onestà intellettuale, “Lei è Giorgia” rimane solo un’elegia a una donna il cui atteggiamento riesce a soddisfare alcuni criteri della “donna forte e determinata” che il femminismo ha sempre elogiato, nonché una riflessione su temi cari alle idee di RadFem, e non una presa di posizione netta.
Tuttavia, sempre per onestà intellettuale, non possiamo che dichiararci sconcertati quando una certa frangia femminista si riduce anche solo a paventare l’idea di sostenere l’estrema destra – e tutte le sue implicazioni.
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