Michela Murgia non ha mai sentito il bisogno di nascondere nulla, nemmeno quella fede a cui, nonostante le critiche alla sua struttura patriarcale, rimaneva legata. Ed è proprio per questo motivo che, nelle sue ultime volontà, l’autrice aveva chiesto il funerale religioso.
Funerale che si è svolto, sabato scorso, nella basilica romana di Santa Maria in Montesanto, come ultimo atto politico a dimostrare che Michela non aveva mai rinnegato la sua fede, scegliendo di far parte di una struttura che andava modificata dall’interno.
Sono stati i discorsi di Roberto Saviano, Lella Costa e – tra i più commoventi – quello di Chiara Valerio a suscitare, ancora una volta, una polemica che segue l’autrice anche dopo la sua morte. Discorsi intrisi di significato, fedeli a quella connessione che Michela aveva instaurato con la sua famiglia queer, a cui hanno fatto seguito, naturalmente, calorose dimostrazioni di sostegno che però il Vescovo di Ventimiglia Sanremo, monsignor Antonio Suetta, ha considerato “irrispettose”.
«In Chiesa, conclusa la celebrazione delle esequie e ancora in un contesto liturgico e di un luogo sacro, è stata data la parola a persone che esprimono convinzioni e pensieri difformi dalla dottrina cattolica e lo hanno fatto in modo anche, a mio parere, un poco sguaiato, suscitando una serie di applausi quasi come tifo da stadio e atteggiamento da festa, che mi pare davvero improprio sia nella circostanza delle esequie che soprattutto nel contesto di un luogo sacro».
Un atteggiamento che deriva, naturalmente, da tutta una serie di sovrastrutture contro cui Michela si batteva da sempre. La capacità di autodeterminarsi, e la libertà di venire celebrata a modo suo, circondata dalle persone che le volevano bene e che la stimavano, è un affondo insostenibile per un sistema basato su rigidi codici di condotta dietro cui, naturalmente, si nasconde una retorica di controllo ben più inquietante. Retorica che non fa fatica ad emergere nel discorso del Vescovo.
«Non intendo parlare della persona che ha vissuto un’esperienza drammatica e faticosa in relazione alla malattia e che ora ha compiuto il passaggio della morte ed è nel giudizio di Dio. A lei il rispetto che si deve a ogni persona.
Desidero soltanto fissare l’attenzione sull’aspetto pubblico di Michela Murgia, come scrittrice e soprattutto in relazione ai contenuti del suo contributo culturale.
Mi limito a definirla una scrittrice, in quanto considerarla una teologa mi sembra eccessivo.
Le battaglie, così è stato detto, che Michela Murgia ha portato avanti erano legate a sue convinzioni personali e a esperienze di vita, ma il suo contributo culturale in moltissimi casi è stato apertamente in contrasto con l’insegnamento di chiesa e dottrina cattolica, in particolare per la concezione della famiglia e altri argomenti molto importanti come aborto ed eutanasia».
Dietro a un atteggiamento composto e apparentemente empatico, il Vescovo cavalca l’onda di un funerale illustre per ribadire ancora una volta come, per una “certa” Chiesa, le cose debbano rimanere come sono, che non ci sia spazio per una visione diversa e più inclusiva delle soggettività. Si parla di progresso sociale come di “pensiero dominante”, come se le identità e le vite di persone come la stessa Michela potessero essere racchiuse in ideologie.
«Rimane per ogni persona libertà di pensiero e espressione e anzi questa libertà può essere contributo a un dialogo. Diverso è accodarsi a un coro pressoché unanime di approvazione, perché le sue esternazioni e convinzioni corrispondono al pensiero oggi dominante e questo non è corretto farlo anche dal punto di vista cristiano, perché la fede cristiana e la dottrina cattolica su questi argomenti hanno visioni differente».
Non si è fatta attendere la replica di Marco Antei, Arcigay Imperia, che si rivolge al Vescovo con un paragone più che azzeccato:
“Riferendosi a quelle persone che si sentono invece rappresentate da questa visione progressista del mondo, che senz’altro Michela ha saputo descrivere in questi anni, il vescovo si scaglia contro “il coro pressoché unanime di approvazione, conseguenza di esternazioni e convinzioni, che corrispondono al pensiero oggi dominante”. Così dice. Forse ho capito male: di quale pensiero dominante sta parlando? Delle religioni cristiane e, in particolare di quella cattolica, che dominano da un paio di millenni le menti di miliardi di persone sparse in tutti i contenti, quel dominio che nei secoli si è presentato come oppressione o conversione forzata dei dissidenti, degli eretici, dei non credenti e dei diversamente credenti? Stiamo parlando di questo o del desiderio di due persone che si amano di potersi spostare e del consenso che questo desiderio suscita? Invito pertanto il vescovo alla riflessione, poi infine a fare un tuffo nel 21esimo secolo, così potrà anche perdonare la cristiana Giorgia Meloni per aver dato luce ad un bimbo fuori dal matrimonio”.
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