Oggi è il giorno della tua morte. Adesso ti facciamo diventare uomo…
Come attivista per i diritti civili e umani, reputo necessario poter raccontare la storia di Donatella, una donna transgender che ha rischiato la vita in El Salvador ed oggi è rifugiata in Italia.
E’ una storia cruenta, qui in Europa può sembrare la scena di un film o di una di quelle serie latine che vanno tanto di moda. Ma è la realtà. E’ una realtà che raccontiamo con coraggio, una testimonianza che può essere utile per ricordarci di farci forza gli uni con gli altri e difendere sempre i diritti umani e civili, senza confini, senza limiti, senza frontiere.
Ciao Donatella, raccontaci un po’ la tua vita in El Salvador e la situazione per le persone LGBT.
C’è una fortissima discriminazione delle persone LGBT. Una delle mie migliori amiche trans è stata assassinata. Se tornassi ucciderebbero anche me. Io lì vivevo al maschile, mi travestivo, non si può fare una transizione medica. Ho potuto iniziare solo in Italia.
Quale associazione LGBT ti ha aiutata in Italia? E in El Salvador?
Arcigay in Italia ed ero attivista per l’Asociacion Aspidh Arcoiris Trans.
Di cosa si occupa questa associazione in El Salvador?
Noi accompagniamo le ragazze trans alla polizia. Quando sei trans e vai alla polizia, non ti danno attenzione, ti chiedono il documento che è un documento da uomo e se tu vuoi il loro aiuto devi struccarti e tagliarti i capelli. Abbiamo tanti problemi con la polizia. Una volta mi hanno fermato perché ero attivista.
La situazione è già difficile, ma un giorno è successo qualcosa di addirittura peggiore…
Lavoravo nell’ufficio del sindaco e ho mandato la polizia in una zona della Pandilla. Loro si impossessano delle zone e dettano le loro regole. L’ho inviata soltanto per fare il mio lavoro, c’era una festa patronale e si invia la polizia per questo, è stato un semplice atto protocollare.
Poco tempo dopo, stavo tornando dal lavoro e ho visto che c’era una macchina con due uomini armati a bordo. Non sapevo cosa fare. La macchina mi bloccava la strada, così mi sono dovuta fermare. Uno di loro è venuto verso di me puntandomi la pistola. Mi ha detto che era il giorno della mia morte, che ero un figlio di puttana. Mi ha preso per i capelli e ha iniziato a picchiarmi sul viso. Mi ha tirata giù dalla macchina e mi ha preso a calci e pugni. Io gli ho chiesto perché mi stavano facendo questo, se volevano soldi se li potevano prendere…
Donatella si commuove e interrompe il suo racconto, poi riprende…
Quello che stava in macchina ha detto all’altro di picchiarmi più duramente per rendermi uomo. E quello che stava giù mi ha detto che mi avrebbe fatto diventare uomo, perché ero un maricon e lui odia i maricones.
Io li pregavo e gli dicevo che non avevo fatto nulla. A loro non importava e mi hanno detto di inginocchiarmi a terra e abbassare la testa. Io mi sono messa a urlare e a piangere pregando di non uccidermi e loro hanno ricominciato a picchiarmi la testa con la pistola. Mi hanno presa per i capelli e mi hanno portata fino al bordo di un dirupo, così quando mi avrebbero sparato il mio corpo sarebbe caduto sotto. Si sono messi a discutere su chi doveva spararmi e in quel momento ho preferito buttarmi di sotto. Ho sentito degli spari e anche se ero ferita mi sono messa a correre tra gli arbusti. Loro mi hanno inseguita. Per fortuna lì c’era un signore che lavorava la terra e mi ha nascosta tra le lamiere che aveva . E’ andato a chiamare aiuto ed è tornato che era già buio. Al ritorno mi ha detto “giovanotto esca!”. Ma io non volevo per paura che facessero del male anche a lui. Poi ho sentito che c’era la polizia e mi hanno detto che si facevano loro carico del caso. Abbiamo risalito il dirupo e ho visto la scena con la mia macchina transennata. Una dottoressa mi ha visitata e ricordo solo che sono svenuta e mi sono risvegliata a casa.
Nei giorni seguenti abbiamo ricevuto telefonate e minacce a casa, per me e le mia famiglia. Il sindaco, che era il mio capo, mi ha dato parte della sua scorta, ma per il bene della mia famiglia ho deciso di lasciare il paese. Sono venuta in Italia, dove ho un nipote che mi ospita.
Adesso hai lo status di rifugiata in Italia. Pensi di poter tornare mai al tuo paese?
No, c’è troppa discriminazione e stigmatizzazione. Io ho studiato all’università ma non c’è nessuna persona trans lì che fa un lavoro professionale. Ogni opportunità lavorativa si chiuderebbe a causa della mia decisione di essere trans. Non è facile essere trans nemmeno in Italia ma mi sento più sicura qui e voglio lottare per i miei sogni.
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