Nato a Guangzhou, in Cina, Scud è il nome d’arte di Danny Cheng Wan-Cheung, regista cinematografico inserito a pieno titolo nella corrente del cinema LGBTQIA+ asiatico. Durante la sua carriera, gestita da Hong Kong dove ha vissuto fino a poco tempo fa, i suoi film sono stati oggetto di critiche e non poche censure: espliciti, controversi, sempre pronti a spingersi oltre i limiti.
Scud non ha mai avuto paura di mostrare una relazione omosessuale nei suoi film, nonostante i contenuti mediatici LGBTQIA+ non siano visti di buon occhio tanto a Hong Kong quanto in Cina, soprattutto dai rispettivi governi. In occasione dell’uscita del suo penultimo film, “Apostles”, in Occidente lo scorso autunno, Gay.it ha incontrato il regista che, in una chiacchierata via Zoom, ha raccontato della turbolenta distribuzione dei suoi film nel Paese d’origine e della situazione dei diritti LGBTQIA+ a Hong Kong.
Come è nata l’idea per “Apostles”?
La morte, o l’aldilà, è sempre stata un grande problema nella mia vita, e anche il tema di molti miei film precedenti. Questo è quello in cui volevo dire ciò che non avevo ancora detto nella mia visione su cosa potrebbe accadere dopo la morte, sul fatto che ci sia una reale possibilità di rinascere. È stato il tema più problematico per me, dopo che ho visto mia nonna morire, quindi volevo anche trovare un modo per vederla di nuovo. Visto che il tema si può guardare da diversi punti di vista, ho inventato questo ritiro di giovani ragazzi che discutono cosa ne pensano.
I tuoi film, incluso “Apostles”, trattano di temi LGBTQIA+. Hai mai incontrato ostacoli durante la produzione dei film?
È un problema che affronto da sempre, quindi non lo considero più un problema finché ho il supporto della mia crew e dei miei attori. Facendo così, però, ho praticamente affondato il mio mercato in Asia. Le persone che vanno a vedere i miei film sono solo il 5-10%.
Sappiamo che la Cina e Hong Kong non sono molto inclini a distribuire film LGBTQIA+. Come vengono ricevuti generalmente i tuoi film?
A dire il vero i miei film sono molto visti in Cina, ma solo negli ambienti “underground”. Non c’è mai stata un’uscita ufficiale di tutti i miei lavori. Alcuni produttori prendevano i miei film e ne lasciavano magari metà, o anche meno, quindi non ho conosciuto una vera pubblicazione in Cina e non credo che ne avrò la possibilità in futuro. Molte persone però li vogliono guardare perché, come puoi immaginare, quando qualcosa è vietato diventa più interessante. Quindi ogni volta che vado in Cina vengo comunque sempre riconosciuto e le persone mi chiedono dei miei lavori. È divertente.
Come vedi la situazione dei diritti LGBTQIA+ in Cina e a Hong Kong oggi?
Ora Hong Kong è nello scenario peggiore di sempre, ma se andiamo indietro di dieci o vent’anni, il governo non ha mai avuto alcuna intenzione di essere progressista per quanto riguarda i diritti LGBT. Ad esempio il matrimonio egualitario sta guadagnando momentum in molti Paesi asiatici, come il Giappone, la Thailandia e Taiwan, ma a Hong Kong non se ne parla. Il governo è stato molto chiaro che non farà nemmeno un passo in quella direzione. Quindi possiamo solo sperare che non vadano indietro, ma non abbiamo alcuna speranza che andranno in avanti. Questo è Hong Kong. Non so cosa dire della Cina, al giorno d’oggi saprai che è pericoloso dire qualsiasi cosa sulla Cina. Ma, voglio dire, ho lasciato Hong Kong due mesi fa e ora sono a Bangkok. Le persone se ne stanno andando e non abbiamo grandi speranze che il Paese migliorerà.
Quanto è importante la rappresentazione nei media per la comunità LGBTQIA+ asiatica?
Se mi consenti di essere un po’ autocelebrativo, credo che alcuni miei precedenti film siano stati rivoluzionari e hanno influenzato il cinema asiatico, di sicuro quello coreano, quello thailandese e anche quello in Giappone. Si vede un aumento sostanziale nella percentuale di contenuti LGBT, specialmente dai nuovi registi. A volte si vede anche come il modo in cui sono presentati ha un’ombra del mio lavoro. Sono felice di dire che ora sta diventando sempre più accettata, anche in alcuni dei nostri programmi tv più mainstream. Quando non ha niente a che fare con i governi, stiamo andando avanti.
Quindi il problema sono i governi? La società è più incline ad aprirsi verso la comunità?
Sì, credo che l’accettazione da parte della società stia aumentando progressivamente.
Hai anche altri progetti dopo “Apostles”?
Ho girato un altro film dopo “Apostles”, appena prima di lasciare Hong Kong, e sarà il mio decimo film se mai deciderò di completarlo. Parla di Hong Kong negli ultimi tre anni, quindi sarà sicuramente censurato a Hong Kong e in Cina, ma sperò che si potrà vedere altrove.
Cosa pensi dell’abitudine dei governi più conservatori di censurare film o parti di film che mostrano contenuti LGBTQIA+, come due uomini o due donne che si baciano?
Cosa posso dire su questo?… I governi sanno che ci sono sempre più persone a cui va bene vedere [temi LGBT nei film] e dovrebbero anche riconoscere che ci saranno sempre, nonostante quello che tentano di fare. Ma in qualche modo c’è la percezione che le persone artistiche e le persone gay tendono ad essere più ribelli. Non sono queste le persone che cercano di aiutare, nel modo più assoluto. E non è solo la comunità LGBT, ci sono sempre più restrizioni su cosa può essere mostrato in un film e cosa è appropriato. Non vedo nessun cambiamento positivo in quella direzione.
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