La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per omicidio preterintenzionale nei confronti dei carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, ritenuti colpevoli di aver ammazzato di botte Stefano Cucchi. La pena per entrambi è passata da 13 a 12 anni di reclusione. Ci sarà invece un nuovo processo di appello per altri due carabinieri accusati di falso, ovvero Roberto Mandolini, che era stato condannato a 4 anni di reclusione, e Francesco Tedesco, condannato a 2 anni e mezzo di carcere.
“A questo punto possiamo mettere la parola fine su questa prima parte del processo sull’omicidio di Stefano“, ha commentato la sorella Ilaria, che ha combattuto per anni pur di arrivare alla verità sulla morte di suo fratello. “Possiamo dire che è stato ucciso di botte, che giustizia è stata fatta nei confronti di coloro che ce l’hanno portato via. Devo ringraziare tante persone, il mio pensiero in questo momento va ai miei genitori che di tutto questo si sono ammalati e non possono essere con noi, va ai miei avvocati Fabio Anselmo e Stefano Maccioni e un grande grazie al dottor Giovanni Musarò che ci ha portato fin qui”.
Stefano Cucchi era stato fermato a Roma il 15 ottobre 2009, perché trovato in possesso di alcuni grammi di droga. Portato nelle celle di sicurezza di una caserma dei carabinieri, la mattina successivo era comparso all’udienza di convalida del fermo con ematomi e difficoltà a camminare. Successivamente condotto a Regina Coeli, è morto il 22 ottobre 2009, all’ospedale Pertini. 7 giorni dopo l’arresto. Al momento del decesso pesava 37 kg. Nei giorni in cui è rimasto dietro le sbarre, o in ospedale, la sua famiglia non è mai riuscito a vederlo.
Dopo 150 udienze e 13 anni d’attesa, la sentenza definitiva che ha confermato l’omicidio di Stefano da parte di due carabinieri, che l’hanno pestato a morte all’interno della Caserma Casilina. All’epoca dei fatti il centrodestra governava il Paese, Berlusconi era Premier e tutta quell’ala politica si schierò in difesa dell’Arma, senza se e senza ma, insultando pesantemente Stefano e la sua famiglia.
“La sorella di Cucchi si dovrebbe vergognare per quanto mi riguarda”, disse Matteo Salvini. “Difficile pensare che ci siano carabinieri che pestano per il gusto di pestare. Il caso Cucchi dimostra che la droga fa male“.
“Stefano Cucchi è morto perché drogato, anoressico e sieropositivo“, disse Carlo Giovanardi. “Le lesioni? La causa è la malnutrizione. Ha avuto una vita sfortunata“.
“La cosa di cui sono certo è il comportamento corretto dei carabinieri“, disse Ignazio La Russa. “Se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze“, disse Gianni Tonelli, oggi deputato leghista.
Parole sconcertanti, e già all’epoca evidentemente indecenti . Passati 13 anni, e con una sentenza definitiva appena certificata, ancora nessuna scusa ufficiale è arrivata da parte di quei politici che infangarono la memoria di un ragazzo e l’esistenza stessa di un’intera famiglia. Salvini era a San Siro, ieri sera, per assistere a Milan – Bologna. Il suo staff twitta compulsivamente decine di volte al giorno, mettendo bocca sugli argomenti più disparati. Su Instagram l’ex ministro dell’interno si è scapicollato per applaudire l’amico Victor Orban, riconfermato premier d’Ungheria tra potenziali brogli e bavaglio stampa. Ma non una parola è stata ancora spesa su Stefano Cucchi e sulla sorella Ilaria, a lungo ostacolata nel corso degli anni. Eppure oggi, dinanzi alla Corte di Cassazione che ha certificato l’omicidio di Stefano da parte di due carabinieri, non una parola è ancora venuta a galla, per quanto solo le scuse avrebbero dovuto sorgere sui social e sulle bocche di chi per oltre un decennio ha continuato ad asserire il contraio.
La Russa, Giovanardi, Salvini. Stiamo ancora aspettando.
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