Classe ’95, nato a Manhattan, Timothée Chalamet è cresciuto a pane e cinema. Nipote del regista Rodman Flender, un giovanissimo Timothée si diploma alla Fiorello H. LaGuardia High School of Music & Art and Performing Arts e si fidanzata con Lourdes Maria Ciccone, figlia di Madonna, per poi iscriversi alla Columbia University e infine concentrarsi sulla recitazione. Scelta azzeccata perché Chalamet, ieri sbarcato alla Mostra del Cinema di Venezia per presentare Dune, kolossal fuori concorso di Denis Villeneuve, è il Johnny Depp della generazione Z.
Amatissimo, seguitissimo, ricercatissimo, fluidissimo, bellissimo, alla modissima. L’issimo, con l’efebico Timothée, è di casa da circa 4 anni, quando Luca Guadagnino vide lungo e lo volle sul set italiano di Chiamami col tuo nome per fargli indossare abiti immediatamente diventati iconici. Quelli di Elio Perlman. Da allora lo sconosciuto Timothée, che fino a quel momento si era fatto vedere in ruoli secondari (è un Casey Affleck adolescente in Interstellar di Christopher Nolan), decolla. La storia d’amore gay tratta dall’omonimo romanzo di André Aciman tramuta il giovane attore nella più brillante stella del futuro firmamento hollywoodiano. Chalamet strappa una nomination agli Oscar, una ai Golden Globe, una SAG, vince il Gotham Independent Film Award e il Critics’ Choice Award. Da perfetto sconosciuto, o quasi, a divo internazionale, tutti vogliono Chalamet. Un nome e un cognome, un marchio. Il suo volto appare sulle magliette, sulle tazze, sulle spille, diventa meme. Account Instagram ricreano scene di Call Me by Your Name trasformandole in opere d’arte.
Sul set dall’età di 13 anni, Timothée esplode con un film a basso budget diretto da un regista italiano. A Crema, comune di 35.000 abitanti. A peach is born. Improvvisamente a Los Angeles non si possono più fare film senza Chalamet nel cast. O così pare. Greta Gerwig fa il suo esordio alla regia con Lady Bird e lo vuole con sè, bissando nel 2019 con il ruolo di Theodore “Laurie” Laurence in Piccole Donne, dove spicca al cospetto di un cast al femminile a dir poco impeccabile. Nel mezzo Timothée cerca la sceneggiatura della vita, quella della nomination bis Academy e pensa di averla trovata in Beautiful Boy di Felix Van Groeningen, dove interpreta il ruolo di un adolescente tossicodipendente. Sulla carta il ruolo agognato da qualsiasi giovane attore, ma il regista di Alabama Monroe – Una storia d’amore combina un mezzo disastro. L’unico a salvarsi è proprio lui, Chalamet, nominato di nuovo ai Golden Globe e ai SAG ma ancora una volta tornato a casa a mani vuote. Timothée esce umanamente sconfitto anche al cospetto di un gigante della settima arte. Woody Allen.
Timothée gira Un giorno di pioggia a New York al fianco di Elle Fanning prima che nuove vergognose accuse di pedofilia travolgano il regista. Accuse smontate pezzo dopo pezzo da decenni di inchieste, sul rapporto tra Woody, i figli e la vendicativa ex Mia Farrow. Nulla di nuovo sotto il sole del chiacchiericcio, ma Hollywood, in pieno Me Too, è diventata l’emblema dell’ipocrisia e cancella il regista di Io e Annie. Con la coda tra le gambe Chalamet segue questa discutibile strada e prende le distanze da Allen e dal film girato, annunciando che devolverà il suo cachet alle vittime di abusi sessuali. Potesse tornare indietro, dice il giovane, quel film non lo farebbe. Woody, dall’alto della sua grandezza, ricorda il misero cachet che tutti i suoi attori prendono sul set, per poi provare a giustificarlo: “Mi ha rinnegato per vincere l’Oscar”. Poco più che 20enne Timothée pecca di ingenuità, irriconoscenza, sfrenata ambizione. Tra i cinefili duri e puri c’è chi mai gli perdonerà quella presa di distanza, vomitata in fretta e furia al cospetto della sarabanda americana. Nel frattempo gira e fa cassa con Netflix grazie a The King di David Michôd, diventa icona di stile e approda all’ultimo Festival di Cannes con The French Dispatch di Wes Anderson.
Ma è con Dune di Denis Villeneuve, le cui riprese sono iniziate nel 2019 e inizialmente atteso in sala per fine 2020 ma rinviato all’autunno 2021 causa Covid-19, che Chalamet prende parte al suo primo kolossal, al primo titolo di una major, la Warner. Atteso e temuto nuovo adattamento dei romanzi scritti da Frank Herbert, Dune vede Timothé interpretare Paul Atreides, che Villeneuve ha sempre immaginato attraverso i dolci lineamenti del giovane attore. “Sentivo che c’era un solo essere sul nostro pianeta che sarebbe stato capace di interpretare Paul Atreides“, ha confessato il regista canadese. “Nei suoi occhi si coglie una profondissima intelligenza, che è qualcosa che non si può fingere di avere. Il ragazzo è intelligente, un intellettuale, è forte, glielo leggi nello sguardo. Ti dà la sensazione di aver vissuto molte vite. E nello stesso tempo, appare davvero giovane davanti alla macchina da presa. A volte sembra che abbia appena 14 anni. I suoi lineamenti esprimono una giovinezza che contrasta con l’anima antica di cui i suoi occhi sono espressione, è un ragazzo che ne sa molto più della vita rispetto ai suoi coetanei. Infine è dotato di uno straordinario carisma, il carisma di una rockstar. Timothée possiede quel genere di carisma che si coglie immediatamente sullo schermo e che puoi trovare solo in alcune star hollywoodiane degli anni ’20. In un certo senso la sua è una bellezza romantica, con qualcosa di aristocratico e qualcosa di vagabondo. Per me Timothée è Paul Atreides. È stato un grande sollievo che abbia accettato il ruolo, perché non avevo un piano b“.
Una rockstar che non a caso ha già girato Don’t Look Up di Adam McKay, al fianco di Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence, e Bones & All, nuovo attesissimo film di Luca Guadagnino, prima di tornare sul set per interpretare un giovane Willy Wonka, non a caso visto in sala anche con quel Johnny Depp a cui Timothée aspira, silenziosamente, senza dirlo troppo ad alta voce. Nel dubbio è stato con sua figlia Lily-Rose, mentre ora si accompagna con la 31enne Eiza Gonzalez. Icona gay dai tempi in cui sodomizzò una pesca, Chalamet è la quintessenza del divismo da nuovo millennio. Volto pulito, cordiale, educato, sorridente, lontano da rehab ed eccessi di qualsiasi tipo, determinato, talentuoso e consapevole di esserlo. E se la carriera ormai naufragata di Armie Hammer, accusato di stupro, cannibalismo e stalking, dovesse miracolosamente resuscitare, prepariamoci a rivederlo nei panni di Elio Perlman in Chiamami col tuo Nome 2, sequel che Luca Guadagnino non ha ancora del tutto accantonato. E chissà se sopra quel caminetto accesso, su cui riversò litri di lacrime sul finire del primo capitolo, non possa trovare spazio l’agognata statuetta.
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