Tra stand up comedy e rivolta queer, Frad chiacchiera con Gay.it

La comica e fumettista romana ci ha parlato di comicità queer, inclusività lesbica, e la potenza di essere irriverenti, argutə, e finalmente scomodə.

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Frad ramma
Frad ramma intervista
5 min. di lettura

Frad_ramma è tra i miei profili preferiti su Instagram. Non perché è romana come me, o meglio non solo: ma perché riesce a farmi ridere senza spegnere il cervello e nemmeno appesantirlo più del dovuto.

Classe 1987, Frad disegna da quando è piccola. Dopo essersi iscritta alla Scuola Internazionale di Comics a Roma e prodotto vignette satiriche per Arci Solidarietà, nel 2017 pubblica la sua prima raccolta autoprodotta. Tra le collaborazioni con Lezpop e Conigli Bianchi, nel 2019 esce “Non facciamone un Lesbodramma Extended” (Asterisco Edizioni) e “Creature Maleducate” (Edizioni Minoritarie) nel 2020.

 

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Nei fumetti di Frad la comicità è specchio riflesso del suo quotidiano e automaticamente di tutte quelle idiosincrasie, luoghi comuni, e banalità esilaranti che ci vergogniamo a dire ad alta voce. Ma come sottolinea, anche l’affettività ha un valore politico, che esplode quando fa stand up comedy. Una passione in cui si è lanciata quasi per caso, improvvisando sketch e gag durante la presentazione dei fumetti. Il decollo è arrivato sul palco del centro sociale Spartaco, quando ha iniziato a collaborare insieme alla dj e musicista Claudia Del Fomento. Dopo mesi di prove a porte chiuse, Frad e Claudia hanno dato vita a “Vedi Caro“, spettacolo tra stand up e musica “che infastidisce chi odia le femministe”, portandole in tour tra le città principali d’Italia in oltre venti tappe, con la promessa di tornare nel 2023.

La nostra intervista è diventata rapidamente una chiacchiera aperta su comicità queer, inclusività lesbica nella rappresentazione LGBQTQIA+, e la sovversiva libertà di non essere solo macchiette da deridere o commiserare, ma anche creature irriverenti, argutə, e possibilmente anche scomodə.

 

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Quando dico che la tua comicità mi rassicura non è solo perché sei romana. Ma anche perché tiro un respiro di sollievo a sapere che esiste una controparte allo stand up dei maschi etero cis bianchi e abili. Ancor più nei media mainstream, siamo sempre raccontati come zimbello e tragedia, ed è così liberatorio quando ci sono persone queer che prendono controllo della propria narrazione, non trovi?

Guarda mi trovi molto d’accordo. Più di tutte credo che la soggettività lesbica è stata rappresentata solo in modo tragico o troppo serio. Almeno la soggettività degli uomini gay un lato più gaio ce l’ha. Anche nei fumetti ho cercato un po’ di cambiare la narrazione intorno al mondo lesbico. Ma in generale, noto che nella comunità c’è un bisogno di leggerezza enorme, che non significa non parlare di cose importanti, ma condividere di quello che ci riguarda senza far per forza il collettivo. Di cui ovviamente c’è bisogno, ma anche con momenti di autoironia, dove possiamo rilassarci insieme. 

L’ironia se fatta bene ha un gran potere catartico. Com’è stato trasferirla dai fumetti al palco? Che cambiamento hai percepito?

Rispetto ai fumetti nella stand-up ho trovato un potere satirico incredibile, che nei fumetti fatico ad esprimere. Vedi Caro ha un contenuto fortemente politico rispetto i disegni: arriva in modo forte, ma accogliente. Quando ho iniziato a fare fumetti, invece, era il 2016 e non sapevo niente di certi argomenti. Sapevo le basi, ma nemmeno mi definivo femminista. Oggi sono transfemminista, ma nei fumetti ho preferito parlare più di affettività. Ma per me anche l’affettività è un gesto politico e spero abbia la sua impronta.

Sono d’accordo, anche perché l’affettività nella rappresentazione LGBTQIA+ a me certe volte sembra che riguarda solo la G.

Certo, perché in qualche modo l’abbiamo assorbito pure noi il patriarcato. Girando per l’Italia, ho visto svariate realtà ed effettivamente le serate sono prevalentemente gay, maschili, e molto cis. Forse a Bologna ho percepito un’identità lesbica e butch più forte. Le serate queer ci sono, ma quelle lesbiche è difficile crearle in un modo dove tutte le varie soggettività lesbiche si sentono rappresentate. Magari ci sono i collettivi – ad esempio a Roma qualche volta c’è Amorucci o il collettivo di Cagne Sciolte che fa tante cose interessanti – ma il divertimento lesbico ce lo dobbiamo ancora prendere.

 

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In parecchi tuoi sketch tu prendi anche un po’ in giro l’imborghesimento delle persone LGBTQIA+, ad esempio anche in relazione al poliamore che è uno di quegli argomenti che fa incazzare tanta gente. Secondo te perché nella comunità queer, che in qualche modo dovrebbe smantellare certi dogmi, si finisce per ricadere in certi stereotipi e sindacare sulla vita altrui, come ha sempre fatto l’eteronormativa?

Penso che tra le tante fasi del movimento LGBTQIA+, quella che ha preso più piede è stata quella del LOVE IS LOVE. La normalizzazione, centrata molto sui diritti civili e pochissimo su quelli sociali. Il concetto è sempre: noi siamo come voi. Una roba che è stata molto assorbita dalla comunità, ma secondo me è sbagliata. La lotta di cui mi sento di far parte è quella transfemminista e queer che mette in discussione il sistema di valori della società cis-etero patriarcale. È una lotta che va a toccare i valori stessi su cui si fonda la società, e quindi anche valori personali. Molte persone questo non lo accettano, non sentono di far parte di questa lotta, che effettivamente è molto schierata. È una lotta molto più difficile da digerire perché richiede una decostruzione totale, e quando alle persone tocchi quel sistema di valori vanno in crisi. 

Anche perché quel sistema di valori è molto rassicurante. Già non siamo tutelatə e riconosciutə, pur non condividendo ma posso arrivare a comprendere come  parte della comunità rimanga ancorata a quel sistema. 

Certo, anche perché hanno paura di perdere una serie di privilegi. Capisco che è difficile, ma per me essere lesbica non significa dover amare un’altra persona. E se io non sto con nessunə? Quindi non sono lesbica? Essere lesbica per me è mettere in discussione tante cose, tra ruoli, espressione e identità di genere. LOVE IS LOVE esclude tutta una serie di soggettività – come anche quelle asessuali, aromatiche, transessuali, non binarie – che fanno parte di questa lotta comune. 

A te non sembra che questo si riversa anche nel nostro inserimento in società? È qualcosa che riguarda un po’ tutte le minoranze a modo loro. Quando ci sono episodi di violenza e discriminazione, devi un po’ essere la “vittima perfetta”. Se ti permetti di essere anche sfrontatə, controcorrente e stronzə quasi te lo meriti, no? Perché non sei rassicurante e accomodante per lo status quo. 

Ti ricordi quella vecchia intervista dove la Meloni che diceva di non discriminare le persone gay e lesbiche? Questo perché almeno fino agli anni ’90, le persone queer non chiedevano molto. È ovvio che una fascista diceva di non discriminarci, perché non eravamo una minaccia ma dei poverini che chiedevano nulla. Come anche con le persone bPoc quando non c’erano così tantə immigratə. Finché siamo solo delle povere vittime va bene. I problemi si creano quando vogliamo essere riconosciutə e diventiamo scomodə.

A proposito dell’essere scomodə: nella tua bio c’è scritto “No rainbow washing, ma solo cose che mettono paura ai giantizi”. Sapresti spiegare ai lettori di Gay.it chi è il giantizio e come barcamenarci in una società di giantizi?

Il giantizio non è troppo stereotipato. In realtà, il giantizio è anche una persona molto insospettabile. Anche persone su carta affini a noi, ma che poi sostanzialmente sono maschi cis-het che hanno interiorizzato quella roba lì patriarcale. Li possiamo incontrare un po’ ovunque, possono essere anche nostri amici con cui condividiamo delle lotte. Sono persone che non hanno messo in discussione niente, che non si riferiscono a sé stessi come una categoria politica e sociale che ha determinate caratteristiche. Molti giantizi magari su tanti argomenti sono ferratissimi, ma quando si parla di femminismo o queerness alzano le mani. Come se non li riguardasse, perché dovrebbero cominciare a deostruire e mettere in discussione, ed è una roba molto scomoda.

Come sopravvivere al giantizio non lo so, ma penso che la propria bolla possa avere una funzione positiva. Crearsi degli spazi safe, dove ci si può esprimere e stare con persone simili. Spazi anche accoglienti ma funzionali, dove le persone entrano ma cominciano un po’ a mettere in discussione delle cose. Io non sono d’accordo con tutto quel discorso dell’autoghettizazione, perché non stiamo parlando di  “ghetti” ma luoghi di resistenza.

 

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