Ci tocca spiegare perché le persone transgender non sono una moda. Perché la transizione di genere e l’affermazione di genere sono in aumento non perché sia in atto una moda, ma semplicemente perché grazie alla cultura di massa e alle battaglie regresse, oggi le persone hanno più libertà di affermarsi per ciò che sono. E comunque, c’è ancora tanta strada da fare. Ma andiamo con ordine.
ProVita pensava davvero di aver fatto il colpaccio con il suo ultimo articolo sulle persone transgender. Una retorica, secondo loro, inattaccabile da quello che definiscono “il fronte culturale LGBTQIA+”. L’articolo è intitolato Quello dei “baby trans” è un contagio sociale? Probabilmente sì, e noi non faremo il favore di aggiungere il link al loro sito. Chi voglia, se lo cerchi online.
Tutto lo scritto è piuttosto deumanizzante. Si parla di cultura di massa, come qualcosa che non appartenga agli umani. E comunque: la cultura è discutibile e opinabile, l’esistenza delle persone no.
E sì, carissimi autori di Pro Vita, il ragionamento esposto ci fa inorridire, perché riduce e sminuisce un percorso delicato e a tratti sofferto come quello dell’affermazione di genere a una semplice moda, o tendenza. Non c’è nulla di cristiano nel vostro articolo, ma di questo ne renderete conto al vostro dio.
L’approccio di Pro Vita intacca la libertà di scelta, riducendo l’autodeterminazione a una moda passeggera, influenzata da lobby che attaccano la tanto santificata condizione “normale”, attraverso la quale si giudicano tutti coloro che si pongono qualche domanda in più su sé stessi e sul mondo circostante.
Sì, qualsiasi clinica specializzata potrà confermare che esiste effettivamente un aumento significativo nel numero di giovani che scelgono d’intraprendere un percorso di affermazione di genere, le statistiche sono fatti ed è innegabile.
Ma si può parlare davvero di matrice sociale dietro a percorso di genere? Una persona può davvero pensare di stravolgere la propria intera esistenza – rischiando ancora oggi l’emarginazione sociale – per seguire un trend?
Valutiamo i fatti con un diagramma di flusso.
Fino a qualche anno fa, una persona transgender era costretta spesso a condurre una vita da reclusa – scoraggiata dal fare coming out, prona a psicosi e tendente al suicidio (si pensi a Cloe Bianco, quindi non così indietro nel tempo), per il retaggio tradizionalista, inteso come estremamente efficace a mantenere l’ordine.
La risoluzione a questo problema, per un essere umano dotato di raziocinio, è un cambio di rotta tendente al miglioramento della qualità della vita di tutti i componenti di una struttura sociale, senza inficiare su coloro che godono di una condizione favorevole.
La conseguenza logica sono le battaglie condotte fino a oggi per permettere a una persona transgender non solo di esistere, ma di esistere bene, nonostante le difficoltà che oggi, ammettiamo, sono ancora presenti proprio a causa delle retoriche come quelle esposte nell’articolo.
Da qui, tutte le belle statistiche sull’incidenza di patologie come depressione, ansia, e tendenze suicide. Pro Vita dimostra la propria tesi con dati costruiti da Pro Vita stessa, e non dati intrinseci di persone transgender. Dilettanti ossessionati più dalla propaganda, che dal messaggio. Chissà cosa direbbe Gesù Cristo?
L’aumento delle persone che scelgono d’intraprendere un percorso di transizione, avviene perché oggi non è più necessario nascondersi.
Il tutto, senza danneggiare – neanche in minima parte – la quotidianità delle persone che, fino a oggi, hanno goduto del privilegio di potersi identificare con il genere assegnato alla nascita.
Ma l’essere umano è una specie assetata di conoscenza e introspezione, quindi la sua tendenza ad approfondire e snocciolare tematiche complesse ha portato a una spasmodica ricerca su cosa rende tale un uomo e una donna, sul concetto d’identità di genere e sulla volatilità di quest’ultimo.
Ed è proprio questo guardarsi dentro che ha permesso all’essere umano moderno di comprendere che la soluzione, in questi casi, è sempre quella di scegliere la libertà.
Libertà di scegliere come identificarsi, scegliere se essere uomo o donna o nessuno dei due (genere non binario), perché il genere è un costrutto sociale a cui chiunque dovrebbe essere libero di aderire o non aderire.
Pro Vita insiste nel vedere la “confusione”, riscontrata nei questionari citati, come un aspetto negativo, un’eccezione alla regola che spaventa. Tuttavia emerge mastodontico un vulnus nel ragionamento: Pro Vita volontariamente sceglie di ignorare il fatto che proprio la “confusione” è l’inizio di un percorso.
Nessuna grande rivoluzione scientifica, sociale e culturale è mai partita con un dogma.
Venendo alle persone “pentite del proprio percorso di transizione”, ripetutamente citate nel razionale di Pro Vita: ebbene, per una persona che vive di dogmi è impossibile comprendere e accettare la complessità della psiche umana. Fa paura, non è lineare. Sono incidenti di percorso? No, neanche questa è una dicitura corretta.
La vita di un tradizionalista moderno segue una direzione ben precisa e imposta, che viene accettata senza domande perché, in fondo, è la via più semplice e meno irta di dubbi e incertezze.
La vita di un essere umano che accetta la propria condizione “instabile” fisiologica tende invece a seguire strade diverse per arrivare alla verità. Prendere un vicolo cieco e dover tornare indietro non è un errore: è scoperta.
C’è però anche da dire che ci sono sempre state persone schierate dalla parte sbagliata della storia. Se fosse per gli ostruzionisti cattolici, oggi penseremmo ancora che il sole giri attorno alla terra e che l’essere umano non è frutto dell’evoluzione.
Tuttavia, se un autore di ProVita ha la possibilità e la libertà – mi piace soffermarmi su questa parola – di scrivere un articolo che invalida l’esistenza di centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, è bene vi sia il diritto – e per me dovere morale – di replica.
foto cover by Nikolas Gannon on Unsplash
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