Polonia: i pubblici ministeri fanno ricorso all’assoluzione della drag queen Mariolkaa Rebell, accusata di istigazione all’omicidio

La Polonia torna ad accusare Mariolkaa Rebell: "soggetto depravato che ha perpetrato un comportamento disgustoso".

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I pubblici ministeri in Polonia hanno presentato ricorso contro l’assoluzione di una drag queen accusata d’incitamento all’omicidio.

Mariolkaa Rebell era salita sul palco con uno spettacolo che ha visto la presenza di forbici, sangue finto e una bambola gonfiabile con l’immagine di un vescovo polacco dichiaratamente anti-LGBTQIA+.

 

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Il ricorso è arrivato dopo le critiche mosse dal pubblico ministero, anche ministro della giustizia nel governo conservatore, verso la sentenza della corte, definita “imbarazzante”, e verso la drag queen, definita “un depravato”.

L’incidente in questione, che all’epoca ha avuto un’ampia copertura, è avvenuto in una discoteca della città di Poznań nel 2019, dove la drag queen – che può essere chiamata solo Marek M. secondo la legge polacca sulla privacy – si è esibita con il nome d’arte di Mariolkaa Rebell.

Le immagini condivise sui social media hanno mostrato l’artista con in mano una bambola su cui era stata apposta l’immagine di Marek Jędraszewski, l’arcivescovo di Cracovia, oltre a forbici e sangue finto.

Pochi giorni prima,  Jędraszewski aveva definito il Pride la “peste arcobaleno” LGBTQIA+, simile alla “peste rossa” del bolscevismo.

Successivamente, aveva ripetutamente attaccato quella che lui e altri conservatori, incluso il partito al governo, chiamano “ideologia LGBTQIA+”, che l’arcivescovo ha paragonato al nazismo e al comunismo.

Secondo i pubblici ministeri, durante lo spettacolo, Marek M. aveva ballato su una canzone pop che includeva la frase (in polacco) “L’ho ucciso con tutte le mie forze” e ha simulato l’omicidio del pastore.

L’accusa verso Marek M. è d’incitamento pubblico a commettere omicidi, di odio religioso e di oltraggio ai cattolici.

Tuttavia, in un processo a giugno, il tribunale distrettuale di Poznań aveva ritenuto l’imputato non colpevole.

Il giudice Agata Trzcinska aveva affermato che i pubblici ministeri non avevano prove: non erano infatti state fornite registrazioni o testimoni diretti, e si erano invece basati solo sui resoconti dei media senza però stabilire se i giornalisti fossero presenti o meno durante lo spettacolo.

Lo stesso Marek M. aveva affermato di non aver simulato la decapitazione della bambola, dichiarando di aver semplicemente ballato con essa per poi perforare la sacca di sangue finto con le forbici per simboleggiare che l’arcivescovo aveva ferito il suo cuore, quello di Marek M., con le sue osservazioni anti-LGBTQIA+.

 

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Il giudice ha ritenuto che la performance non fosse un reato d’odio e rientrasse nei limiti della libertà artistica e di espressione.

Ha anche fatto notare come la performance fosse una risposta alle precedenti dichiarazioni di Jędraszewski. “Se hai opinioni controverse, devi tenere conto della reazione“, aveva dichiarato Trzcinska.

Tuttavia, l’ufficio del pubblico ministero di Varsavia, che ha preso in carico il caso dalla sua controparte a Poznań all’inizio del processo, chiede ora l’annullamento del verdetto e un nuovo del processo.

I pubblici ministeri ritengono che la corte “abbia effettuato conclusioni fattuali errate, prive di obiettività e contrarie ai principi della logica“, ha affermato Aleksandra Skrzyniarz, portavoce della procura di Varsavia.

Ha aggiunto che l’analisi delle foto, comprese “le espressioni facciali dell’imputato”, mostrano che “emanava emozioni negative di rabbia od odio” e che questo “non era un atto pacifico e non aggressivo di performance artistica, ma un atto pianificato simulazione dell’omicidio di uno specifico rappresentante della Chiesa cattolica romana”.

Tale decisione ha fatto seguito alla condanna dell’assoluzione da parte di Zbigniew Ziobro, procuratore generale e ministro della giustizia, il quale ha affermato che “va oltre tutti gli standard [accettabili] e danneggia l’immagine della magistratura polacca“.

Riferendosi a Trzcinska, Ziobro ha affermato che “è imbarazzante avere dei giudici del genere in Polonia“. Ha descritto Marek M. come un “soggetto depravato che ha perpetrato un comportamento disgustoso” e ha avvertito che lasciare tali azioni impunite potrebbe in futuro “portare a un vero omicidio“. Quando però si tratta di minacce verso la comunità LGBTQIA+, tutto tace.

Infatti, diversi attivisti hanno ribattuto, affermando che le osservazioni anti-LGBTQIA+ dell’arcivescovo costituivano incitamento all’odio.

Ma nel 2020, sia i pubblici ministeri che i tribunali si sono rifiutati di aprire un procedimento, ritenendo che le parole di Jędraszewski non intendessero riferirsi a individui specifici.

Le leggi polacche sui crimini ispirati dall’odio non coprono infatti l’orientamento sessuale o l’identità di genere – come anche nel nostro paese, il che significa che le persone LGBTQIA+ non sono protette dall’hate speech come gruppo allo stesso modo delle minoranze etniche o religiose.

Negli ultimi tre anni, la Polonia è stata classificata come il peggior paese dell’UE per le persone LGBTQIA+, nel mezzo di una campagna anti-LGBTQIA+ condotta dalla coalizione di governo e da parti della chiesa cattolica.

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